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Italian to English: Contadini Italiani e africani: diversità incolmabili o sfide comuni General field: Social Sciences
Source text - Italian 1. Contadini italiani e africani: diversità incolmabili o sfide comuni?
In una piccola azienda a conduzione familiare nella provincia di Frosinone un contadino munge una mucca e ricava 30 litri di latte al giorno. In un villaggio del Burkina Faso un contadino munge una mucca e ricava 1,5 litri di latte al giorno. Un abisso fra le due produzioni, a prima vista diremmo: un contadino italiano ricco e un contadino africano povero senza nessun elemento comune. Eppure, né l’uno né l’altro riescono a vivere di quello che producono. Com’è possibile?
Il contadino italiano vende il latte alla Centrale di Roma per un prezzo che è quattro volte inferiore a quello che noi consumatori paghiamo. Il contadino africano sa che non venderà il latte che ha prodotto, perché il supermercato della città sta vendendo a prezzi stracciati il latte in polvere di una multinazionale.
La rete ItaliAfrica dagli anni’90 lavora per avvicinare queste due realtà, ragionando intorno al modello di produzione familiare e agro-ecologico presidio della biodiversità dei rispettivi territori.
Apparentemente molto distanti, la realtà agricola italiana ed africana hanno infatti in comune la loro base produttiva: la piccola unità di produzione, vocata principalmente alla commercializzazione sui mercati locali. Di fronte ad un mondo globalizzato queste realtà vivono problemi molto simili: da qui la necessità di politiche agricole, commerciali che le proteggano e le valorizzino, e la necessità di dialogo e di collegamento diretto con i consumatori.
I problemi sono comuni: mercati locali invasi da prodotti importati, di dubbia qualità, centrali d’acquisto che impongono prezzi che affamano produttori e consumatori, politiche agricole che non guardano al piccolo produttore e alla salute dei consumatori. E le sfide sono comuni: riuscire a vendere un prodotto fresco sui mercati locali e poter vivere del proprio lavoro, garantire il diritto dei consumatori di decidere cosa consumare, e sapere come e da chi è prodotto ciò che consumano;
privilegiare metodi di produzione integrati nel territorio, e l’agroecologia come risposta alla crisi energetica e ambientale .
Infatti, mentre un potente filone di pensiero, ispirato alla modernizzazione dell’agricoltura, sostiene che la soluzione alla crisi passa necessariamente per un’industralizzazione sempre più spinta (agricoltura di precisione, contract farming, biotecnologie), e propone i sistemi intensivi e avanzati come unico futuro possibile per l’Africa, una nuova corrente propone di uscirne proprio cambiando modello agricolo, ripartendo dalla produzione di piccola scala e prendendo spunto dalle esperienze di resistenza e di innovazione già in atto nei territori.
Su queste basi, Italiafrica realizza attività di scambio e visite di terreno, che hanno interessato i territori delle regioni italiane ed alcuni paesi dell’Africa Occidentale, mettendo in relazione diretta i produttori e le società civili delle due sponde. Queste relazioni hanno facilitato una conoscenza reciproca, aiutando a decostruire i luoghi comuni e creare i presupposti per la nascita di alcuni partenariati “territoriali” tra piattaforme contadine africane e le regioni italiane (Piemonte, Lazio, Calabria, Provincia di Savona sono state coinvolte negli scambi con Burkina Faso, Mali, Togo) intorno ad alcune filiere agricole.
2. Verso un nuovo modello di cooperazione con l’Africa: i partenariati territoriali
Da quasi dieci anni, la campagna Italiafrica porta avanti un lavoro di sensibilizzazione e informazione sui temi legati alle politiche agricole e agro-alimentari, e sulla necessità di difendere un modello di agricoltura sostenibile e solidale alternativo al paradigma dominante.
Un asse portante delle attività è la relazione tra movimenti contadini del Nord e del Sud, organizzazioni non governative, associazioni e semplici cittadini, e la creazione di reti di alleanze intorno a tematiche che riguardano direttamente tutte queste categorie, come gli accordi economici e commerciali o la PAC. Gli scambi e le visite di terreno tra produttori italiani appartenenti ad AIAB, ARI, Coldiretti, e produttori africani, membri delle piattaforme nazionali appartenenti al ROPPA (rete di organizzazioni contadine e di produttori di dodici paesi dell’Africa occidentale), hanno facilitato innumnerevoli occasioni per verificare come non ci sia un conflitto tra contadini del Nord e del Sud, ma tra due modelli agricoli, che si basano su visioni totalmente diverse. Da una parte il modello di agricoltura familiare, agro-ecologico, radicato nel territorio e che produce beni collettivi a beneficio della comunità, dall’altra il modello agricolo industriale che utilizza metodi intensivi e sfrutta i territori, per produrre a beneficio delle multinazionali e del commercio internazionale.
Da questa esperienza sono nati (o stanno nascendo) alcuni partenariati territoriali: gemellaggi fra regioni dei due continenti accomunate da produzioni simili e dal sostegno ad alcune filiere strategiche. Tali partenariati permettono di concretizzare la ricerca di nuovi approcci di produzione, trasformazione e consumo; a partire da un’analisi comune sulle sfide e sugli obiettivi di un’agricoltura di tipo sostenibile di fronte alle crisi ambientali, economiche, finanziarie e di sensibilizzare produttori e consumatori italiani e africani su queste tematiche.
L’importanza di coinvolgere le regioni italiane nei partenariati è dovuta dal fatto che è nelle nostre stesse regioni che le aziende agricole affondano le proprie radici e veicolano saperi e pratiche di trasformazione artigianale, o semi-artigianale dei prodotti, conservando le diversità. Per la maggior parte si trtta di aziende che resistono da anni, ma ne nascono anche di nuove, che riscoprono la “contadinità” e la multifunzionalità come una risposta alla crisi, e sono spesso foriere di innovazione sociale. E nelle diverse regioni si sperimentano anche diversi modelli di mercato che sviluppano un rapporto diretto fra produttore e consumatore: si re-inventano i mercati locali, le fiere agricole territoriali, si riscopre la vendita diretta. Gli stessi consumatori si costituiscono in gruppi d’acquisto solidale (GAS), riappropriandosi della consapevolezza del loro ruolo e del proprio diritto di scelta rispetto ai consumi alimentari.
Queste pratiche di produzione e questi modelli di mercato sono di estremo interesse per i produttori e i consumatori africani, che sebbene scontino la mancanza di mezzi e di appoggio finanziario per l’acquisto delle attrezzature, identificano nella trasformazione agroalimentare un passaggio determinante per la composizione della catena del valore dei prodotti agricoli e nello sviluppo dei mercati locali e regionali, in contrapposizione alla corsa verso il mercato internazionale: un punto fondamentale per la realizzazione della sovranità alimentare.
Il tentativo di rafforzare le piccole unità di produzione familiare in Africa è il campo principale di azione dei paertnariati territoriali. Esso risponde all’esigenza delle piattaforme di costruire modelli replicabili, che diano forza anche alle attività di pressione in favore di politiche nazionali a sostegno dell’agricoltura familiare e dei mercati locali. Le piccole unità di produzione, inoltre, sono una risposta concreta in termini occupazionali alle giovani generazioni che vedono davanti a sé la via dell’esodo dalle zone rurali.
2.1 Come nascono e crescono le relazioni di partenariato?
Non esiste un modello standard di partenariato, si tratta infatti di relazioni orizzontali che si creano nel corso di incontri e di visite di terreno, che coinvolgono non solo i produttori ma anche le organizzazioni agricole e ambientaliste, i consumatori, le università, le ONG che conoscono bene i contesti rurali africani, le autorità locali e i media. Basati su relazioni paritarie tra contadini italiani e africani, i partenariati stravolgono l’ottica classica dell’aiuto dal Nord verso il Sud, riconoscendo competenze e ruoli specifici di ciascuno in una cornice di strategie condivise.
Una “co-evoluzione” tra aziende e territori a livello micro, che supera la progettazione di interventi “dall’alto”, per instaurare alleanze in difesa di interessi comuni e un protagonismo degli attori sociali del sud, è alla base di questi interventi. Non importare modelli di sviluppo fallimentari o non appropriati al contesto, ma cooperare, co- progettare e condividere risposte ispirate a modelli sostenibili.
In questo modo si attivano processi importanti non solo in Africa ma anche sul nostro territorio, articolando la riflessione intorno al “modello di produzione e al tipo di mercato ” che vogliamo difendere, in ragione dell’importanza della difesa dell’ambiente e degli ecosistemi.
La costruzione di reti fra attori e territori diversi è un processo lento, che non porta all’immediata soluzione dei problemi, ma indica piuttosto delle strategie e delle linee d’azione rispetto alle scelte politiche e commerciali che sono alla base di problemi chiave come la crisi alimentare e il riscaldamento climatico, problemi che si ripercuotono sulla nostra vita quotidiana toccandoci in modo molto diretto. L’obiettivo comune è quello di difendere la sovranità alimentare, ovvero il modello di agricoltura agro-ecologico, e tutto quel complesso sistema culturale e sociale che lo caratterizza e lo sostiene.
2.2 Partenariati e politiche internazionali
Quasi tutti i paesi dell’Africa Occidentale hanno costruito piattaforme contadine nazionali in questo ultimo decennio collegate alla piattaforma regionale del ROPPA, essa è diventata un punto di riferimento non solo per i paesi dell’area ma anche per le istituzioni dell’Africa occidentale, che lo riconoscono come un legittimo interlocutore. Anche nelle altre regioni africane le organizzazoini contadine stanno costruendo delle reti, dando sostanza e forma ad una vera e propria piattaforma contadina panafricana.
Le reti contadine africane hanno elaborato posizioni comuni con la Coldiretti e con altre organizzazioni agricole europee, cosa che permette di acquisire forza di fronte alle Comunità Economiche Regionali e dell’Unione Africana nonché di fronte ai tavoli internazionali che le vedono coinvolte. Questa alleanza fra le diverse reti africane e l’accordo su posizioni comuni con la Coldiretti è stata molto importante nel riuscire a diffondere un messaggio comune durante il G8 agricolo nel 2009, così come a mettere in luce il pericolo degli Accordi di Partenariato Economico (APE) tra Unione Europea e paesi ACP, per l’avvenire dell’agricoltura familiare africana ed europea nel corso del 2007. Oggi la rete africana lavora ad un posizionamento sui fenomeni più recenti dell’accaparramento delle terre e dei contratti di coltivazione, così come sugli effetti della riforma della PAC europea sull’agricoltura africana ed europea.
Partenariati e filiere: si riparte dai territori?
Nella crisi attuale dell’agricoltura, globale e locale al tempo stesso, che coinvolge i suoi rapporti con l’ambiente, con la società e le relazioni all’interno della filiera agricola degli attori che vi lavorano, il ruolo di soggetti - nuovi o vecchi - che animano le campagne e gli spazi rurali sta acquistando un’importanza crescente.
Nel corso dell’anno 2009, all’interno del progetto ItaliAfrica, sono state realizzate diverse visite di terreno da parte di rappresentanti delle piattaforme nazionali del ROPPA: Piemonte, Veneto, Liguria, Sardegna, Lazio, Calabria hanno messo in atto processi di riflessione sulle proprie specificità agro-ecologiche, sul ruolo dei produttori e dei consumatori, mettendo in rete esperienze innovative che cercano di sopravvivere sui territori e che dovrebbero essere appoggiate dalla ricerca e dalle politiche pubbliche. Esattamente come in Africa. In entrambi i casi è evidente che sono le realtà attive sul territorio che cercano di cambiare le cose, dal basso, e che pdal basso arrivano le risposte adeguate alla crisi. Se ci avevano fatto credere che siamo in concorrenza sui mercati internazionali e sul terreno che ci si scopre invece alleati…
Le visite hanno permesso la nascita di nuove relazioni e rafforzato quelle già in corso. Esistono infatti partenariati di lunga data, ormai strutturati come quello fra la Regione Piemonte e il Burkina Faso sulla filiera del riso, o partenariati nati recentemente, che necessitano di più tempo per articolarsi compiutamente come quello fra Lazio e Mali sulla filiera del latte o quello fra la provincia di Savona e il Togo sulla filiera ortofrutticola.
3.1 Un chicco di riso fra Piemonte e Burkina Faso
In Burkina Faso, su proposta del Roppa, nel 2006 la Coldiretti Piemonte, il CISV e la Confederazione Contadina del Burkina Faso (CPF) hanno dato vita ad un progetto D’appoggio alla filiera del riso, nell’ambito del “Programma di Sicurezza alimentare in Africa Occidentale” promosso dalla Regione Piemonte. Il progetto, a regia regionale, si inserisce nelle relazioni di partenariato che dal 1996 la Regione ha istituito con 8 paesi del Sahel. Il “Tavolo Agricoltura Piemonte-Sahel” è lo spazio permanente di dialogo sociale e di progettazione degli attori del territorio piemontese, all’interno del quale si stanno rinsaldando alleanze fra le organizzazioni contadine e professionali, le ong e l’Università.
In Burkina Faso il consumo di riso è in continuo aumento, si parla di una richiesta di 350.000 tonnellate a fronte di una produzione nazionale di poco più di 200.000 tonnellate. Da due anni, a seguito della cosiddetta crisi alimentare, il governo ha pertanto deciso di sostenere la produzione, anche con l’aiuto della Fao, fornendo ai contadini sementi e fertilizzanti a prezzi agevolati. Ciò ha in parte aiutato la popolazione locale migliorando la produzione, ma non ha dato agli agricoltori gli strumenti necessari affinché potessero produrre in modo indipendente. Referenti della Coldiretti Piemonte, spiegano come questo partenariato si proponga invece come una strategia volta a creare una filiera locale attraverso il rafforzamento delle capacità di produzione e trasformazione del riso, settore nel quale il Piemonte eccelle rivelandosi così un partner importante per lo scambio di informazioni e di strategie di produzione.
Le importazioni di riso in particolare dall’Asia risultano essere un problema che accomuna produttori e consumatori sia del Burkina Faso che del Piemonte, il partenariato è infatti rivolto non solo ad un aumento della produzione ma anche un miglioramento della qualità di riso in modo da creare un prodotto che sia effettivamente concorrenziale e unico sul mercato locale in entrambe le realtà.
Le donne, pur essendo le principali responsabili dell’alimentazione dei propri nuclei familiari, sono troppo spesso emarginate dal settore agricolo. Il progetto si rivolge in particolare a un gruppo di 30 donne per poter rafforzare la loro capacità di produzione e trasformazione del riso in modo da renderle più autonome. Il progetto ha permesso l’acquisto di attrezzature per la trasformazione e corsi di formazione per l’uso di tali macchinari e per organizzare la vendita del riso. L’iniziativa ha avuto successo e sta coinvolgendo ora anche altri villaggi grazie alla creazione di una cooperativa locale che dà supporto tecnico alle attività di produzione e commercializzazione. (TOGLIERE???)
• Questo partenariato è un chiaro esempio di scambio effettivo che si realizza fra territori e mette in evidenza l’importanza di scambiare tecniche di produzione e organizzazione cooperativa. La rete di relazione e di scambio si è rafforzata nel tempo e oggi si sta realizzando un comune lavoro fra Piemonte e Burkina Faso anche su altri aspetti legati alla filiera del riso quali:
• La distribuzione dei prodotti sui mercati locali, ovvero il potenziamento della commercializzazione del riso anche nei villaggi vicini
• La produzione di sementi che rappresentano la base per l’indipendenza agricola
• La fertilizzazione dei suoli attraverso tecniche di agricoltura biologica
• Il finanziamento all’agricoltura, attraverso forme innovative, quali il warrantage e le istituzioni di microfinanza delle organizzazioni contadine.
3. 2 Lazio, Calabria e Mali uniti dalla filiera del latte: le minilatterie
In Lazio e in Calabria una serie di attori del territorio si sono messi in rete intrecciando con la piattaforma contadina del Mali un partenariato sulla filiera latte. L’importanza della produzione di latte accomuna infatti le due realtà e i problemi di commercializzazione affrontati sono, in parte, simili.
Si tratta di un partenariato innovativo per le varie componenti interessate: la cooperazione decentrata di Viterbo e della Calabria, una moltitudine di organizzazioni tra le quali le università di Bamako, della Tuscia e della Calabria, l’Associazione Universitaria di Cooperazione allo Sviluppo di Viterbo(AUCS), la Coordinazione Nazionale delle Organizzazioni Contadine del Mali (CNOP), l’Associazione Italiana di Agricoltura Biologia (AIAB), la Coldiretti, singole aziende ed una Fondazione. Il fondamento di tale relazione riguarda la necessità di rafforzare e sostenere un modello di produzione sostenibile per i territori italiani e africani.
Anche nel Lazio e in Calabria come in altre regioni italiane, a fronte di prezzi sempre più bassi, i produttori di latte rivendicano una remunerazione giusta del loro lavoro, che tenga conto del contesto di produzione di uno dei mestieri più esigenti al mondo: lavoro altamente qualificato, condizioni di lavoro restrittive e forti investimenti per rispettare le sempre più rigide normative europee.
In Europa l’approccio dominato dal mercato prende il posto del sistema di regolazione pubblica, cosa che significherà ancora di più una corsa al ribasso dei costi del latte, che dipenderanno dal mercato internazionale, in particolare da quelli di una materia prima industriale come il latte in polvere. Situazione che si ripercuote anche sui produttori africani.
In Mali il 50% del latte consumato ogni anno proviene dal mercato d’importazione ed è latte in polvere.. Tuttavia, la pratica e la dedizione all'allevamento, per l'etnia Peuhl, rappresentano attività ormai consolidate nel proprio patrimonio culturale e tradizionale, attività in cui queste comunità manifestano il forte legame con il territorio. Nella struttura sociale le attività di raccolta, trasformazione e commercializzazione sono affidate alle donne, che provvedono anche a gestirne i modesti redditi. Ogni villaggio possiede il proprio gregge di capre il cui latte e formaggio servono per l’autoconsumo e la vendita nei mercati locali.
Date le caratteristiche delle unità produttive, del territorio e del mercato maliano, le minilatterie risultano la chiave di volta a vantaggio della sicurezza alimentare e del miglioramento nel reddito degli allevatori. La minilatteria si inserisce infatti in un circuito relativamente corto, che raccoglie il latte dei produttori vicini e arriva ai mercati di prossimità e svolge un’importante funzione socio-economica, impiegando personale locale e assicurando l’alimentazione e la salute materno infantile. È per questo che, le due regioni italiane e la piattaforma contadina, hanno deciso di puntare al sostegno di queste unità di produzione, aiutandole nella la fornitura di materiali per la trasformazione e per la conservazione del latte e dei formaggi. Lo sviluppo della produzione e trasformazione del latte locale costituisce così non solo un’alternativa per diversificare l’offerta e aumentare l'occupazione ma rappresenta anche un’importante tappa in direzione della sovranità alimentare, considerato l’impatto economico, culturale e sociale delle importazioni sull’economia del paese.
Nell’ambito di questo partenariato due produttrici maliane hanno trascorso circa 3 mesi presso l’azienda Dedoni, in Calabria, un’interessante realtà del territorio che trasforma il latte di oltre 100 piccoli produttori della zona. Qui le donne hanno potuto apprendere le tecniche di trasformazione del latte di capra per la produzione di diversi tipi di formaggi.
Una delegazione dell’Università della Tuscia e dell’AUCS è stata invece in Mali, esperienza di grande rilevanza, sia sul piano tecnico, sia sul piano umano. La delegazione si è confrontata con le popolazioni locali e ha raccolto informazioni sulla ricchezza della biodiversità animale e sulle pratiche e conoscenze veterinarie autoctone. Ne è nato uno scambio con l’Università di Bamako, e dati utili per valutare il grado di sostenibilità del progetto mini-latterie.
3.3 Progetto di scambio fra Liguria e Togo: un partenariato che si sta costruendo
La provincia di Savona e il Comune di Ceriale hanno iniziato una collaborazione con la Coordinazione Togolese di Organizzazioni Contadine e di Produttori Agricoli (CTOP) nel 2007 attraverso un progetto di sostegno alle piccole unità agricole familiari che producono diversi tipi di ortaggi, cereali e oleaginose (pomodori, soia, sesamo, karité). Il programma è parte di un accordo – sottoscritto nel 2007 - tra la CTOP e la provincia di Savona, grazie all’appoggio della piattaforma del ROPPA ( Rete di Organizzazioni Contadine di Produttori e Agricoltori dell’Africa Occidentale), la rete ItaliAfrica e Terra Nuova.
Anche questo progetto vede come protagoniste le donne. Come ci ricorda una produttrice togolese sono infatti le donne che svolgono le attività produttive e allo stesso tempo sono coloro che hanno maggiori difficoltà di accesso al credito, e non hanno diritto al titolo di proprietà dei terreni. Creare progetti che le vedano come protagoniste significa non solo migliorare la loro condizione di vita ma anche sostenerle nell’affermazione dei propri diritti.
In questo caso si tratta di 20 produttrici, che intendono migliorare le loro capacità di trasformazione e commercializzazione dei prodotti su scala locale. Un ruolo fondamentale è svolto dalla CTOP sia per il supporto tecnico, sia per le attività di mediazione fra i tecnici della Liguria e i gruppi di contadine implicate nel progetto. Si tratta di piccoli nuclei familiari che hanno potuto migliorare le proprie produzioni grazie ad un aumento dell’accesso ai mezzi di produzione e all’appoggio finanziario e tecnico del progetto.
Nella provincia di Savona è inoltre coinvolto il CeERSA (Centro Regionale di Sperimentazionee Assistenza Agricola ), che può avere un ruolo molto importante nell’appoggio alla ricerca per la valorizzazione dei prodotti locali. La Bottega del commercio equo ha coinvolto i consumatori in un percorso di consumo critico ed ha portato avanti alcune attività di informazione sensibilizzazione nelle scuole.
Problemi comuni, strumenti comuni
La rete ItaliAfrica - Terre Contadine ha cominciato un percorso al tempo stesso teorico e pratico a partire da una necessità presente nelle due sponde del Mediterraneo: avere uno strumento in grado di monitorare e valutare i progressi di soggetti agricoli invisibili alle statistiche e alle politiche.
È nata così l’idea di lavorare alla costruzione di uno “strumento di monitoraggio”, partendo dalla considerazione che le classiche analisi microeconomiche sono del tutto inutili o insufficienti per descrivere il mondo di quella che viene definita agricoltura familiare.
Lo strumento di monitoraggio risponde al tentativo di utilizzare nuovi strumenti teorici ed analitici che permettano di descrivere e valutare il mondo rurale nel suo complesso non solo da un punto di vista economico ma anche analizzando le relazioni sociali, culturali e gli aspetti ambientali che lo caratterizzano.
Alcuni degli obiettivi concreti a cui lo strumento deve rispondere:
A. Permettere alle aziende agricole di poter monitorare i loro “progressi” e avere un quadro più esatto dei loro problemi.
B. Valutare l’impatto delle politiche agricole sulle aziende familiari e quindi poterle reindirizzare in maniera più proficua.
C. Rinforzare lo scambio tra realtà diverse e in particolare tra Africa e Europa grazie ad una griglia comune che permette di confrontare dati, aziende e problemi.
La prima difficoltà che emerge è quella di come analizzare e definire queste esperienze (agricoltura familiare, contadina, impresa..?) e stabilire confini tra i diversi modi di fare agricoltura. Un tale lavoro non può che partire da un’analisi delle esperienze messe in atto dagli agricoltori e da una continua verifica dell’aderenza degli strumenti teorici a tali realtà. Se si parte dal concetto che le nuove forme di agricoltura “contadina” come risposte alla crisi si basano sull’acquistare nuovi spazi di autonomia, non in termini di autarchia o sussistenza, ma piuttosto di resilienza dell’azienda, sulla sua vulnerabilità e capacità di far fronte alle dinamiche esterne ad essa, sarà centrale capire le forme e i diversi gradi in cui ciò avviene.
Nella relazione tra autonomia e dipendenza è possibile individuare diversi livelli che vanno ad indagare le relazioni dell’azienda con il mondo esterno che possono essere riconducibili a sei macroaree: dipendenza finanziaria, dipendenza tecnologica, dipendenza dal mercato, dipendenza culturale, dipendenza relazionale, dipendenza politica.
Tale strumento di monitoraggio sarà sperimentato dalle aziende europee e africane, in quelle realtà dove è già attivo un partenariato territoriale (Togo, Mali e Burkina) a partire dal quadro di conoscenze che vengono da questo progetto.
Costruire un futuro nuovo per l’agricoltura passa anche attraverso la creazione di strumenti in grado di analizzare meglio la realtà, renderla comprensibile e soprattutto visibile a quanti per troppo tempo hanno fatto finta di non vedere.
5. ItaliAfrica riguarda tutti, collabora con noi!
( da capire se vogliamo anche eventuali volontari nei progetti o solo possibili donazioni….)
La campagna ItaliAfrica non è qualcosa che riguarda i singoli agricoltori ma ognuno di noi.
Promuovere un modello di agricoltura agro-ecologico e locale che non ha impatti negativi su altri paesi, dipende anche dalle scelte quotidiane che fai, nel decidere quale cibo mangiare, dipende dalla tua capacità di informarti e di informare e dal sostengo che puoi dare ai progetti di partenariato che la campagna supporta e promuove. Molti progetti soffrono per poche risorse finanziarie e tecniche, puoi aiutare attraverso una donazione o mettendo a disposizione le tue competenze e il tuo tempo sostenendo direttamente uno dei progetti sostenuti dai partenariati.
Non rimanere passivo, attivati e collabora con noi!
Informati attraverso il sito:
Translation - English 1. African and Italian farmers: a chasm or a common challenge?
In a small family-run farm in the province of Frosinone (Rome, Italy), a cow being milked by a farmer yields 30 litres of milk a day. In a village in Burkina Faso, a cow being milked by a farmer yields 1.5 litres of milk a day. At first glance, there is a huge difference between the two levels of milk yield: a wealthy Italian farmer and his poor African counterpart with nothing in common. Yet neither of them are able to make a living out of their milk production. How is this possible?
The Italian farmer sells milk to the central dairy of Rome at a price that is four times lower than the amount consumers have to pay for the milk. The African farmer knows that his milk will never be sold on the local market because powdered milk produced by multinational corporations is being sold at a giveaway price at the local supermarket.
Although it appears that they are very different from one another, Italian and African farmers have a very similar production setup - plenty of small producers who wish to be able to sell on local markets. In the face of globalisation, these communities have to come to terms with similar issues: hence the need for agricultural and trade policies that protect and develop local communities and provide for a more direct relationship with consumers.
Since the 1990s the ItaliAfrica network has been endeavouring to bring together the two communities while exploring ways of achieving the most appropriate family-based production and agro-ecological model for the conservation of local biodiversity.
The problems are similar: Local markets are being swamped with poor-quality goods from abroad; procurement agencies impose prices which bring producers (and consumers n.t.) to starvation level, agricultural policies that fail to take into account the interests of small producers, let alone the health of consumers. The challenges are the same: producers want to sell fresh products on the local markets, making a living from their own production, and to ensure that consumers can decide what they want to buy, knowing where the products they buy have come from; it is vital to give priority to integrated production methods and agro-ecology as a way to combat energy and environmental crises.
The champions of agricultural modernisation maintain that the solution to our crisis lies in a more extreme form of industrialisation (precision agriculture, contract farming, biotechnologies) and in supporting intensive and advanced systems as the only possible way out for Africa.
However, there is a new climate of opinion which suggests instead that the way out of the crisis lies in a reformed agricultural model, reviving old small-scale production practices and building on traditional and innovative cases some regions have already produced.
The ItaliAfrica network is based upon the idea of a “food network” (fostering the idea of incorporating agricultural markets into local markets and thus establishing a more direct and extensive relationship with consumers as opposed to the idea of vertically integrated supply chains and markets)
N.T. concordo con chi ha scritto “secondo me questa frase non e’ chiara” quindi la traduzione è fatta con molta buona volontà! Please check it out!
whereby trade activities are carried out with the involvement of Italian regions and some Western African countries, thus establishing a direct relationship between producers and NGOs on both sides. ItaliAfrica also facilitates horizontal relationships which help provide a better insight into the other country’s culture and knowledge “debunking” preconceived ideas and paving the way for new “territorial” partnerships between African and Italian platforms around specific agricultural supply chains.
2. Towards a new cooperation model with African countries: territorial partnerships
In the last ten years ItaliAfrica has been campaigning to raise the level of public awareness, disseminating information on agro-food themes and agricultural policies and giving voice to the need for a sustainable agricultural model as an alternative to the currently prevailing paradigm.
One strand of its activities covers the relationship between northern and southern farmers’ movements, between non-governmental organisations, associations and individual citizens as well as the network of stakeholders focused around specific topics such as economic and trade agreements or the CAP. By sharing experiences and participating in field trips, African and Italian producers members of partner associations such as AIAB, ARI and Coldiretti, for Italy and national platforms which make up ROPPA (Réseau des organisations paysannes et des producteurs agricoles de l’Afrique de l’Ouest) (the Network of 12 Farmers’ and Agricultural Producers’ Organizations of West Africa) for Africa, have come to the understanding that the conflict does not lie in the relationship between northern and southern farmers, but in two farming models which are based upon two contrasting approaches. On the one hand, a sustainable family-based model closely linked to the local community capable of producing quality products for the local market, protecting public assets such as bio-diversity for the sake of local communities, and on the other an industrial farming model based upon a technology-intensive industry which heavily taps into local resources to produce agricultural commodities for MNCs and TNCs that dominate the world market.
Territorial partnerships between regions in both continents aim to explore new approaches to production, trade and consumption, based upon a joint evaluation of the challenges of the environmental, economic and financial crisis.
The importance of getting Italian regions involved in the partnerships lies in the fact that farms are strongly linked with their local communities, they champion conservation methods whereby biodiversity can be preserved and measure their performance against the market and against rural development policies. Against such a background consumers are sovereign and join together to set up the so-called GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) fair-trade purchasing groups, reinventing market dynamics, regaining awareness of their role and their own right to chose the best food. In our regions some old companies manage to survive and some new ones manage to crop up mostly in connection with social innovation, and here the “farmers’ perspective” and their multi-functional response prove to be an answer to the crisis.
Production practices and market models turn out to be of great value for African producers and consumers since the agro-food processing segment is perceived as a crucial ingredient in the formation of the agricultural supply chain and in the promotion of local and regional markets, thus representing a food sovereignty asset which stands against the approach in favour of market globalisation.
African family farms account for 80% of the overall agricultural production, and therefore they ought to be supported through national and international policies in order to achieve the twin aim of defeating hunger and stemming the tide of unemployment by fully harnessing the potential of the labour market fully and helping to halt the migration of young people from rural areas. The support these farms deserve will take the form of setting up models that can be replicated elsewhere, strengthening lobbying in favour of national policies that support family-based farming and local markets which ROPPA is strongly in favour of.
How partnerships and relationships develop and grow
ROPPA delegations made a number of field trips to the six Italian regions to discover the rural environment at first hand. These field trips helped them identify shared priorities such as the conservation of family farming activities and support for small and medium-sized producers’ income through the promotion of processing and distribution activities focused on local produce. Such activities would make it possible for farmers to keep a higher value-add for themselves and would favour a more direct relationship with consumers through local markets, avoiding large scale distribution and preventing national markets from being swamped with low- cost products from abroad. Following these the field trips local administrations, organisations, farming businesses, universities and NGOs – members of the ItaliAfrica Network – (the latter reporting on their experience in Africa working with local farmers and rural communities) joined together in a number of round-table meetings. The aim of each of these round-tables was to negotiate some form of partnership with various ROPPA’s national associations in order to deal with issues connected to the processing and the distribution of produce grown in the two local regions. As part of the partnership decentralised processing and distribution units will be set up and run by local cooperatives and by women, as women are traditionally those who deal with these activities. In addition northern and southern farming businesses will team up in partnerships to capitalise on African and Italian best practices, including public awareness and lobbying to promote family farms as well as small and medium-sized farming businesses.
Based on a level playing field, African and Italian farmers can benefit from a new form of partnerships that diverge from the traditional North-South aid approach, based on merit and skills and in a framework of shared strategies. The common objective is to monitor r food sovereignty, i.e. the agro-food model, as well as the complex cultural and social system underpinning the agro-food system in Africa and Italy.
The construction of a system networking different players and regions is slow and painstaking and may fail to respond to the structural needs resulting from the food crisis and global warming, but at least can provide some guidelines and strategies based on day-to-day behaviours.
In the current global and local crisis, agriculture is facing challenges from the environment, the society and its own stakeholders, whose role, be it old or new has become increasingly important given the value of rural areas.
2.2 Partnerships and international policies
West African farmers’ associations connected with the ROPPA regional platform are networked with other African farmers’ networks from other regions of Africa, giving rise to a true pan-African farmers’ platform.
African farmers’ networks have joined forces with Coldiretti and other European farmers’ organisations in order to have a voice before Regional Economic Communities and the African Union, in the international roundtables where their interests are at stake. In this context it was underlined that the Economic Partnership Agreements of 2007 between the European Union and the ACP countries are to be perceived as a threat for the future of African and European family agriculture. In this regard, a joint declaration was made during 2009 G8 summit on agriculture.
Today the African network in cooperation with Italian partners is taking the lead on more recent issues such as land grabbing and contract farming, as well as the effects of the reformed European CAP on African and European agriculture.
3. Headline (NON SI CAPISCE)
In 2009 the representatives of ROPPA national associations visited a number of Italian farms located in the regions of Piedmont, Veneto, Liguria, Sardinia, Lazio and Calabria as part of the ItaliAfrica project.
In each region, specific agro-ecological features, the role of producers, consumers and public administrations, and the wealth of innovative projects showed that the solution to the crisis can be found through a bottom-up approach and that our genetic pool can be better preserved and protected locally.
The field trips led to long-standing and well-structured platform relationships such as the one between the Piedmont Region and Burkina Faso on the rice value chain, or recent partnerships between Lazio and Mali on milk production and between the Province of Savona and Togo on fruit and vegetable production.
3.1 A grain of rice between Piedmont and Burkina Faso
In Piedmont the “Tavolo Agricoltura Piemonte-Sahel” is a permanent platform for social dialogue and cooperation between local stakeholders, within which the ties between farmers’ and professional organisations, NGOs and the academic world are being strengthened. In Burkina Faso, following a proposal made by ROPPA, Coldiretti Piemonte, CISV and the Farmers’ Confederation of Burkina Faso launched a project in 2006 to support the rice supply chain within the Food Safety Programme in Western Africa promoted by the Piedmont region.
In both regions local rice growers are being threatened by Asian imports of cheap rice and in both cases the solution lies in being able to provide quality products to consumers and meet their approval, such as PDO rice (Protected Designation of Origin) rice for Italy and “parboil” easy-cook rice for Burkina Faso’s urban consumers. This partnership is geared to increase production, but also to improve the quality of rice so as to allow local markets in both countries to be provided with a highly competitive rice variety.
In Burkina Faso rice consumption is on the rise, demand is reported as reaching approximately 350,000 tons, whereas the national production amounts to just 200,000 tons. To respond to the food crisis the government agreed to subsidise rice production, supplemented by the support provided by the FAO that handed out subsidised seeds and fertilisers to rise growers. The initiative helped the local community by promoting the production of better quality rice, but failed to provide rice growers with the tools they needed to produce rice independently. The Burkina Faso association explained that this partnership is to be perceived as a strategy designed to create a local supply chain by reinforcing the rice industry, a field in which the Piedmont region is a world class leader and therefore an important partner in terms of best practices and strategies.
Although women are the bread-winners of most African families, they are often marginalised in the decision-making process of the agricultural sector. The project involves a group of 30 women who are seeking to strengthen their rice-growing capacity. The simple addition of a rice decorticating machine can help save money and save a lot of work every day, allowing women to attend to other matters. The initiative has now been successful in involving small towns thanks to a local cooperative that is providing local rice growers with technical and distribution assistance.
This partnership is a clear example of a direct exchange of practices between different regions that over the years have been committed to investing in the whole rice supply chain:
• production of seeds that are farmers’ main asset in the pursuit of agricultural self-sufficiency
• land fertilisation through organic crops
• distribution of the products at the local markets, i.e. promotion of rice distribution in the neighbouring towns
• innovative financial mechanisms, such as warrantage schemes, to subsidese crops and micro-credit mechanisms for financing farmers’ organisations.
3.2 Lazio, Calabria and Mali join forces in the production of milk
This is a highly innovative partnership given its key components: decentralised cooperation between Viterbo and Calabria, the involvement of a plethora of organisations, including the University of Bamako, the University of Tuscia and the University of Calabria, the University Association for Development Assistance in Viterbo (AUCS), the national coordination of farmers’ organizations of Mali (CNOP), the Italian association of organic agriculture (AIAB), Coldiretti and individual farming businesses and one Foundation. The basis of this relationship lies in the commitment to reinforcing and supporting a sustainable production model applicable to both Italian and African regions.
In Lazio and Calabria, just like in other Italian regions, milk producers are faced with ever decreasing low prices and therefore they demand higher wages as theirs is one of the most demanding activities in agriculture and as such deserves to be seen in its production context, i.e. that it is highly skilled work with strict working conditions and requiring heavy investments in order to comply with an increasingly stringent European regulatory framework.
In Europe the market-driven approach is certainly prevailing and this means that milk prices are bound to decline because of the international markets, in particular those trading in raw materials such as milk powder. This situation cannot but have a detrimental effect on African producers too.
In Mali 50% of the yearly milk consumption is imported and consists primarily of milk powder. For the Peuhl ethnic group cattle raising accounts for an important share of their cultural and social heritage and the attachment to the region and the different practices and skills typical of this area reveal the level of dedication the local community shows to this activity.
The micro-dairy outlet is part of a relatively short loop where milk is collected from neighbouring milk producers, reaches the nearest market and plays an important socio-economic role employing local people and providing food and healthy conditions to mothers and infants.
Against the backdrop of the local production and distribution system, the micro-dairy shops represent an important cornerstone in terms of food safety and income distribution among farmers, as well as an important steppingstone to food sovereignty given the economic, cultural and social impact of imports on the local economy.
As part of this partnership two Malian producers spent three months visiting Dedoni Srl in Calabria, a leading business in this area which collects and processes milk coming from over 100 small producers. The three Malian producers learnt how to process goat ‘smilk and how to produce several varieties of cheese from milk.
One delegation from the Tuscia University and AUCS visited Mali. They met with local communities and put together information on the richness of animal biodiversity and indigenous veterinary practices. Consequently the University of Bamako and its Italian counterpart became partners in generating valuable information to evaluate the level of sustainability of the milk project.
3.3 Exchange project between Liguria and Togo: a new partnership in the making
The Province of Savona and the Municipality of Ceriale agreed to enter into a partnership with Togo Coordination Association of Farmers and Producers Organisations (CTOP) through a project which supports small family farms that produce different varieties of vegetables, cereals and oleaginous varieties ( tomatoes, soya, sesame, karate). The programme is part of an agreement signed in 2007 by CTOP and the provincial administration of Savona through the support of the ROPPA (the Network of Farmers’ and Agricultural Producers’ Organisations of West Africa), ItaliAfrica and Terra Nuova.
Women are key players in this project. As one Togolese woman reminded us, women are often the ones who run the businesses, yet they still face major problems in getting access to credit and most importantly they are not entitled to security of tenure. Setting up projects in which women are key players is an important way to improve their lifestyle as well as to help them achieve more fundamental rights.
In this project some 20 women producers are involved and are seeking to increase their production and distribution capacities on a local basis. CTOP plays a key role in providing technical support and in assisting both the technical experts from Liguria and the women farmers involved in the project. This project has enabled a number of small family businesses to increase their production capacity by improving their access to better means of production and better financial and technical support.
In the Province of Savona CeERSA (the Regional centre for agricultural research and support) and the Bottega della Solidarietò (fair trade) are two key non-institutional players which support research activities designed to promote local production.
CeERSA is currently putting together a partnership with ITRA (Institut Togolais de Recherche Agronomique) to gain more ground in the fight against poverty and in favour of food sovereignty to improve production and earning capacity in the rural communities.
Bottega dello Solidarietà is running a project on responsible consumption that aims to raise the awareness and involvement of young students and local stakeholders in cultural and social activities. Responsible tourism is another important part of the project as it allows people to get a better insight into Togo as a country.
4. Similar strategies to deal with similar problems: e.g. monitoring
Based on the need for monitoring and evaluating the progress made in agriculture by players who are normally ignored in statistical and political analyses perceive as invisible, ItaliAfrica and Terre Contadine plan to carry out a theoretical and practical analysis of family-driven agriculture in Italy and in Africa.
Traditional micro-economic analysis proved incapable of describing the realm of “family-based agriculture” and in evaluating the rural world as a whole in economic, social, cultural and environmental terms.
Hence the need to single out a new monitoring tool in order to:
a. help farming businesses monitor their progress and get a full picture of their problems;
b. evaluate and mitigate the impact of agricultural policies on family businesses.
c. reinforce partnership between different regions and in particular between Africa and Europe through the use of a common evaluation matrix whereby data, businesses and issues can be measured against each other.
The new monitoring tool is based on the analysis of a number of agricultural “cases” and looks at the level of compliance between theory and practice. Innovative farming practices are seen as a response to the current agricultural crisis and are designed to enable the acquisition of greater autonomy, reduce vulnerability and increase resilience in order to withstand the current crisis.
Farming businesses have to withstand cultural, political, financial, technological and market dependence too, therefore it is crucial to understand the extent and the dynamics of such a dependence.
European and African farming businesses are expected to put the monitoring tool into practice, with particular priority being given to the regions that already benefit from territorial partnerships (i.e. Togo, Mali and Burkina Faso) and regions that share similar problems in agriculture.
To build up a new future for agriculture it is necessary to get a better insight into real situations, making them more intelligible and above all more visible to those who for a long time agreed have been turning a blind eye to the problems.
5. ItaliAfrica should be the concern of everyone, including you!
The ItaliAfrica campaign should not just be the concern of farmers only, but should involve everyone!
Promoting a new agro-ecological paradigm and mitigating the impact on the environment and on other countries depends on our choices and awareness, as well as our ability to help others become more aware. When we decide what food we want to eat, which ingredients we want to include in our diet, we inevitably support the environment, agriculture and local farmers.
Your choices help us deliver our partnership projects and support and promote our campaign.
English to Italian: Foreign land grabbing in Africa General field: Social Sciences
Source text - English 1. African and Italian farmers: a chasm or a common challenge?
In a small family-run farm in the province of Frosinone (Rome, Italy), a cow being milked by a farmer yields 30 litres of milk a day. In a village in Burkina Faso, a cow being milked by a farmer yields 1.5 litres of milk a day. At first glance, there is a huge difference between the two levels of milk yield: a wealthy Italian farmer and his poor African counterpart with nothing in common. Yet neither of them are able to make a living out of their milk production. How is this possible?
The Italian farmer sells milk to the central dairy of Rome at a price that is four times lower than the amount consumers have to pay for the milk. The African farmer knows that his milk will never be sold on the local market because powdered milk produced by multinational corporations is being sold at a giveaway price at the local supermarket.
Although it appears that they are very different from one another, Italian and African farmers have a very similar production setup - plenty of small producers who wish to be able to sell on local markets. In the face of globalisation, these communities have to come to terms with similar issues: hence the need for agricultural and trade policies that protect and develop local communities and provide for a more direct relationship with consumers.
Since the 1990s the ItaliAfrica network has been endeavouring to bring together the two communities while exploring ways of achieving the most appropriate family-based production and agro-ecological model for the conservation of local biodiversity.
The problems are similar: Local markets are being swamped with poor-quality goods from abroad; procurement agencies impose prices which bring producers (and consumers n.t.) to starvation level, agricultural policies that fail to take into account the interests of small producers, let alone the health of consumers. The challenges are the same: producers want to sell fresh products on the local markets, making a living from their own production, and to ensure that consumers can decide what they want to buy, knowing where the products they buy have come from; it is vital to give priority to integrated production methods and agro-ecology as a way to combat energy and environmental crises.
The champions of agricultural modernisation maintain that the solution to our crisis lies in a more extreme form of industrialisation (precision agriculture, contract farming, biotechnologies) and in supporting intensive and advanced systems as the only possible way out for Africa.
However, there is a new climate of opinion which suggests instead that the way out of the crisis lies in a reformed agricultural model, reviving old small-scale production practices and building on traditional and innovative cases some regions have already produced.
The ItaliAfrica network is based upon the idea of a “food network” (fostering the idea of incorporating agricultural markets into local markets and thus establishing a more direct and extensive relationship with consumers as opposed to the idea of vertically integrated supply chains and markets)
N.T. concordo con chi ha scritto “secondo me questa frase non e’ chiara” quindi la traduzione è fatta con molta buona volontà! Please check it out!
whereby trade activities are carried out with the involvement of Italian regions and some Western African countries, thus establishing a direct relationship between producers and NGOs on both sides. ItaliAfrica also facilitates horizontal relationships which help provide a better insight into the other country’s culture and knowledge “debunking” preconceived ideas and paving the way for new “territorial” partnerships between African and Italian platforms around specific agricultural supply chains.
2. Towards a new cooperation model with African countries: territorial partnerships
In the last ten years ItaliAfrica has been campaigning to raise the level of public awareness, disseminating information on agro-food themes and agricultural policies and giving voice to the need for a sustainable agricultural model as an alternative to the currently prevailing paradigm.
One strand of its activities covers the relationship between northern and southern farmers’ movements, between non-governmental organisations, associations and individual citizens as well as the network of stakeholders focused around specific topics such as economic and trade agreements or the CAP. By sharing experiences and participating in field trips, African and Italian producers members of partner associations such as AIAB, ARI and Coldiretti, for Italy and national platforms which make up ROPPA (Réseau des organisations paysannes et des producteurs agricoles de l’Afrique de l’Ouest) (the Network of 12 Farmers’ and Agricultural Producers’ Organizations of West Africa) for Africa, have come to the understanding that the conflict does not lie in the relationship between northern and southern farmers, but in two farming models which are based upon two contrasting approaches. On the one hand, a sustainable family-based model closely linked to the local community capable of producing quality products for the local market, protecting public assets such as bio-diversity for the sake of local communities, and on the other an industrial farming model based upon a technology-intensive industry which heavily taps into local resources to produce agricultural commodities for MNCs and TNCs that dominate the world market.
Territorial partnerships between regions in both continents aim to explore new approaches to production, trade and consumption, based upon a joint evaluation of the challenges of the environmental, economic and financial crisis.
The importance of getting Italian regions involved in the partnerships lies in the fact that farms are strongly linked with their local communities, they champion conservation methods whereby biodiversity can be preserved and measure their performance against the market and against rural development policies. Against such a background consumers are sovereign and join together to set up the so-called GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) fair-trade purchasing groups, reinventing market dynamics, regaining awareness of their role and their own right to chose the best food. In our regions some old companies manage to survive and some new ones manage to crop up mostly in connection with social innovation, and here the “farmers’ perspective” and their multi-functional response prove to be an answer to the crisis.
Production practices and market models turn out to be of great value for African producers and consumers since the agro-food processing segment is perceived as a crucial ingredient in the formation of the agricultural supply chain and in the promotion of local and regional markets, thus representing a food sovereignty asset which stands against the approach in favour of market globalisation.
African family farms account for 80% of the overall agricultural production, and therefore they ought to be supported through national and international policies in order to achieve the twin aim of defeating hunger and stemming the tide of unemployment by fully harnessing the potential of the labour market fully and helping to halt the migration of young people from rural areas. The support these farms deserve will take the form of setting up models that can be replicated elsewhere, strengthening lobbying in favour of national policies that support family-based farming and local markets which ROPPA is strongly in favour of.
How partnerships and relationships develop and grow
ROPPA delegations made a number of field trips to the six Italian regions to discover the rural environment at first hand. These field trips helped them identify shared priorities such as the conservation of family farming activities and support for small and medium-sized producers’ income through the promotion of processing and distribution activities focused on local produce. Such activities would make it possible for farmers to keep a higher value-add for themselves and would favour a more direct relationship with consumers through local markets, avoiding large scale distribution and preventing national markets from being swamped with low- cost products from abroad. Following these the field trips local administrations, organisations, farming businesses, universities and NGOs – members of the ItaliAfrica Network – (the latter reporting on their experience in Africa working with local farmers and rural communities) joined together in a number of round-table meetings. The aim of each of these round-tables was to negotiate some form of partnership with various ROPPA’s national associations in order to deal with issues connected to the processing and the distribution of produce grown in the two local regions. As part of the partnership decentralised processing and distribution units will be set up and run by local cooperatives and by women, as women are traditionally those who deal with these activities. In addition northern and southern farming businesses will team up in partnerships to capitalise on African and Italian best practices, including public awareness and lobbying to promote family farms as well as small and medium-sized farming businesses.
Based on a level playing field, African and Italian farmers can benefit from a new form of partnerships that diverge from the traditional North-South aid approach, based on merit and skills and in a framework of shared strategies. The common objective is to monitor r food sovereignty, i.e. the agro-food model, as well as the complex cultural and social system underpinning the agro-food system in Africa and Italy.
The construction of a system networking different players and regions is slow and painstaking and may fail to respond to the structural needs resulting from the food crisis and global warming, but at least can provide some guidelines and strategies based on day-to-day behaviours.
In the current global and local crisis, agriculture is facing challenges from the environment, the society and its own stakeholders, whose role, be it old or new has become increasingly important given the value of rural areas.
2.2 Partnerships and international policies
West African farmers’ associations connected with the ROPPA regional platform are networked with other African farmers’ networks from other regions of Africa, giving rise to a true pan-African farmers’ platform.
African farmers’ networks have joined forces with Coldiretti and other European farmers’ organisations in order to have a voice before Regional Economic Communities and the African Union, in the international roundtables where their interests are at stake. In this context it was underlined that the Economic Partnership Agreements of 2007 between the European Union and the ACP countries are to be perceived as a threat for the future of African and European family agriculture. In this regard, a joint declaration was made during 2009 G8 summit on agriculture.
Today the African network in cooperation with Italian partners is taking the lead on more recent issues such as land grabbing and contract farming, as well as the effects of the reformed European CAP on African and European agriculture.
3. Headline (NON SI CAPISCE)
In 2009 the representatives of ROPPA national associations visited a number of Italian farms located in the regions of Piedmont, Veneto, Liguria, Sardinia, Lazio and Calabria as part of the ItaliAfrica project.
In each region, specific agro-ecological features, the role of producers, consumers and public administrations, and the wealth of innovative projects showed that the solution to the crisis can be found through a bottom-up approach and that our genetic pool can be better preserved and protected locally.
The field trips led to long-standing and well-structured platform relationships such as the one between the Piedmont Region and Burkina Faso on the rice value chain, or recent partnerships between Lazio and Mali on milk production and between the Province of Savona and Togo on fruit and vegetable production.
3.1 A grain of rice between Piedmont and Burkina Faso
In Piedmont the “Tavolo Agricoltura Piemonte-Sahel” is a permanent platform for social dialogue and cooperation between local stakeholders, within which the ties between farmers’ and professional organisations, NGOs and the academic world are being strengthened. In Burkina Faso, following a proposal made by ROPPA, Coldiretti Piemonte, CISV and the Farmers’ Confederation of Burkina Faso launched a project in 2006 to support the rice supply chain within the Food Safety Programme in Western Africa promoted by the Piedmont region.
In both regions local rice growers are being threatened by Asian imports of cheap rice and in both cases the solution lies in being able to provide quality products to consumers and meet their approval, such as PDO rice (Protected Designation of Origin) rice for Italy and “parboil” easy-cook rice for Burkina Faso’s urban consumers. This partnership is geared to increase production, but also to improve the quality of rice so as to allow local markets in both countries to be provided with a highly competitive rice variety.
In Burkina Faso rice consumption is on the rise, demand is reported as reaching approximately 350,000 tons, whereas the national production amounts to just 200,000 tons. To respond to the food crisis the government agreed to subsidise rice production, supplemented by the support provided by the FAO that handed out subsidised seeds and fertilisers to rise growers. The initiative helped the local community by promoting the production of better quality rice, but failed to provide rice growers with the tools they needed to produce rice independently. The Burkina Faso association explained that this partnership is to be perceived as a strategy designed to create a local supply chain by reinforcing the rice industry, a field in which the Piedmont region is a world class leader and therefore an important partner in terms of best practices and strategies.
Although women are the bread-winners of most African families, they are often marginalised in the decision-making process of the agricultural sector. The project involves a group of 30 women who are seeking to strengthen their rice-growing capacity. The simple addition of a rice decorticating machine can help save money and save a lot of work every day, allowing women to attend to other matters. The initiative has now been successful in involving small towns thanks to a local cooperative that is providing local rice growers with technical and distribution assistance.
This partnership is a clear example of a direct exchange of practices between different regions that over the years have been committed to investing in the whole rice supply chain:
• production of seeds that are farmers’ main asset in the pursuit of agricultural self-sufficiency
• land fertilisation through organic crops
• distribution of the products at the local markets, i.e. promotion of rice distribution in the neighbouring towns
• innovative financial mechanisms, such as warrantage schemes, to subsidese crops and micro-credit mechanisms for financing farmers’ organisations.
3.2 Lazio, Calabria and Mali join forces in the production of milk
This is a highly innovative partnership given its key components: decentralised cooperation between Viterbo and Calabria, the involvement of a plethora of organisations, including the University of Bamako, the University of Tuscia and the University of Calabria, the University Association for Development Assistance in Viterbo (AUCS), the national coordination of farmers’ organizations of Mali (CNOP), the Italian association of organic agriculture (AIAB), Coldiretti and individual farming businesses and one Foundation. The basis of this relationship lies in the commitment to reinforcing and supporting a sustainable production model applicable to both Italian and African regions.
In Lazio and Calabria, just like in other Italian regions, milk producers are faced with ever decreasing low prices and therefore they demand higher wages as theirs is one of the most demanding activities in agriculture and as such deserves to be seen in its production context, i.e. that it is highly skilled work with strict working conditions and requiring heavy investments in order to comply with an increasingly stringent European regulatory framework.
In Europe the market-driven approach is certainly prevailing and this means that milk prices are bound to decline because of the international markets, in particular those trading in raw materials such as milk powder. This situation cannot but have a detrimental effect on African producers too.
In Mali 50% of the yearly milk consumption is imported and consists primarily of milk powder. For the Peuhl ethnic group cattle raising accounts for an important share of their cultural and social heritage and the attachment to the region and the different practices and skills typical of this area reveal the level of dedication the local community shows to this activity.
The micro-dairy outlet is part of a relatively short loop where milk is collected from neighbouring milk producers, reaches the nearest market and plays an important socio-economic role employing local people and providing food and healthy conditions to mothers and infants.
Against the backdrop of the local production and distribution system, the micro-dairy shops represent an important cornerstone in terms of food safety and income distribution among farmers, as well as an important steppingstone to food sovereignty given the economic, cultural and social impact of imports on the local economy.
As part of this partnership two Malian producers spent three months visiting Dedoni Srl in Calabria, a leading business in this area which collects and processes milk coming from over 100 small producers. The three Malian producers learnt how to process goat ‘smilk and how to produce several varieties of cheese from milk.
One delegation from the Tuscia University and AUCS visited Mali. They met with local communities and put together information on the richness of animal biodiversity and indigenous veterinary practices. Consequently the University of Bamako and its Italian counterpart became partners in generating valuable information to evaluate the level of sustainability of the milk project.
3.3 Exchange project between Liguria and Togo: a new partnership in the making
The Province of Savona and the Municipality of Ceriale agreed to enter into a partnership with Togo Coordination Association of Farmers and Producers Organisations (CTOP) through a project which supports small family farms that produce different varieties of vegetables, cereals and oleaginous varieties ( tomatoes, soya, sesame, karate). The programme is part of an agreement signed in 2007 by CTOP and the provincial administration of Savona through the support of the ROPPA (the Network of Farmers’ and Agricultural Producers’ Organisations of West Africa), ItaliAfrica and Terra Nuova.
Women are key players in this project. As one Togolese woman reminded us, women are often the ones who run the businesses, yet they still face major problems in getting access to credit and most importantly they are not entitled to security of tenure. Setting up projects in which women are key players is an important way to improve their lifestyle as well as to help them achieve more fundamental rights.
In this project some 20 women producers are involved and are seeking to increase their production and distribution capacities on a local basis. CTOP plays a key role in providing technical support and in assisting both the technical experts from Liguria and the women farmers involved in the project. This project has enabled a number of small family businesses to increase their production capacity by improving their access to better means of production and better financial and technical support.
In the Province of Savona CeERSA (the Regional centre for agricultural research and support) and the Bottega della Solidarietò (fair trade) are two key non-institutional players which support research activities designed to promote local production.
CeERSA is currently putting together a partnership with ITRA (Institut Togolais de Recherche Agronomique) to gain more ground in the fight against poverty and in favour of food sovereignty to improve production and earning capacity in the rural communities.
Bottega dello Solidarietà is running a project on responsible consumption that aims to raise the awareness and involvement of young students and local stakeholders in cultural and social activities. Responsible tourism is another important part of the project as it allows people to get a better insight into Togo as a country.
4. Similar strategies to deal with similar problems: e.g. monitoring
Based on the need for monitoring and evaluating the progress made in agriculture by players who are normally ignored in statistical and political analyses perceive as invisible, ItaliAfrica and Terre Contadine plan to carry out a theoretical and practical analysis of family-driven agriculture in Italy and in Africa.
Traditional micro-economic analysis proved incapable of describing the realm of “family-based agriculture” and in evaluating the rural world as a whole in economic, social, cultural and environmental terms.
Hence the need to single out a new monitoring tool in order to:
a. help farming businesses monitor their progress and get a full picture of their problems;
b. evaluate and mitigate the impact of agricultural policies on family businesses.
c. reinforce partnership between different regions and in particular between Africa and Europe through the use of a common evaluation matrix whereby data, businesses and issues can be measured against each other.
The new monitoring tool is based on the analysis of a number of agricultural “cases” and looks at the level of compliance between theory and practice. Innovative farming practices are seen as a response to the current agricultural crisis and are designed to enable the acquisition of greater autonomy, reduce vulnerability and increase resilience in order to withstand the current crisis.
Farming businesses have to withstand cultural, political, financial, technological and market dependence too, therefore it is crucial to understand the extent and the dynamics of such a dependence.
European and African farming businesses are expected to put the monitoring tool into practice, with particular priority being given to the regions that already benefit from territorial partnerships (i.e. Togo, Mali and Burkina Faso) and regions that share similar problems in agriculture.
To build up a new future for agriculture it is necessary to get a better insight into real situations, making them more intelligible and above all more visible to those who for a long time agreed have been turning a blind eye to the problems.
5. ItaliAfrica should be the concern of everyone, including you!
The ItaliAfrica campaign should not just be the concern of farmers only, but should involve everyone!
Promoting a new agro-ecological paradigm and mitigating the impact on the environment and on other countries depends on our choices and awareness, as well as our ability to help others become more aware. When we decide what food we want to eat, which ingredients we want to include in our diet, we inevitably support the environment, agriculture and local farmers.
Your choices help us deliver our partnership projects and support and promote our campaign.
Translation - Italian BOZZA
Dicembre 2009
L’accaparramento della terra da parte di soggetti stranieri in Africa
2009 Rapporto di monitoraggio delle Organizzazioni europee della società civile
sulla proposta della Commissione Europea per Avanzamento dell’Agricoltura Africana (AAA)
Riassunto
Il presente rapporto esamina il ruolo che gli Stati membri dell’UE svolgono sia in modo individuale che collettivo, nell’attuale ondata di investimenti stranieri che hanno portato al c.d. accaparramento della terra in Africa . Nel rapporto si discute se tale ruolo sia o meno in linea con gli impegni assunti dall’UE a favore dell’avanzamento dell’agricoltura in Africa consentendo il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e il rispetto degli obblighi previsti dal diritto internazionale in materia di diritti umani.
Indice
1. Introduzione
2. Gli effetti dell’acquisizione della terra da parte di soggetti stranieri nei confronti delle popolazioni rurali e del sostegno dell’agricoltura contadina.
3. Coinvolgimento diretto o indiretto nell’accaparramento della terra.
4. Il rapporto tra aiuti stranieri e aiuti allo sviluppo, commercio e accaparramento della terra.
5. Valutazione della coerenza delle politiche degli stati membri dell’UE, individuali e collettive, nei confronti degli impegni assunti dall’UE a favore dell’avanzamento dell’agricoltura in Africa ed il rispetto degli obblighi previsti dal diritto internazionale in materia di diritti umani.
6. Conclusioni.
1. Introduzione
Ai fini del rapporto, l’espressione accaparramento della terra definisce la perdita di terra delle popolazioni rurali causata dalle acquisizioni fondiarie su larga scala da parte di soggetti stranieri (sottoforma di acquisto o affitto, o altro tipo di controllo della terra come per esempio la coltivazione a contratto a lungo termine) per la produzione agricola industriale (per alimenti, agro carburanti o altre materie prime agricole). Negli ultimi due anni nei media si e’ parlato sempre di piu’ della crescente tendenza delle aziende commerciali straniere ad accaparrarsi la terra in Africa e altrove.
Il presente rapporto pone l’accento su alcuni dei problemi inerenti alla pratica di acquisizione fondiaria utilizzata da soggetti stranieri. Il documento fa riferimento al lavoro preliminare svolto da alcune ONGs, organizzazioni e agenzie internazionali. L’obiettivo del rapporto è quello di identificare e fare una mappa degli impatti sui contadini africani e dei problemi e preoccupazioni sui diritti umani associati all’investimento fondiario. Dato il difficile accesso alle informazioni importanti nonché la difficoltà a quantificare le dimensioni e gli effetti reali del fenomeno, si ravvisa la necessità di altre ricerche ed analisi. Pertanto, il presente rapporto dovrà essere interpretato come un primo contributo al processo di dialogo tra le organizzazioni della società civile africane ed europee, da un lato, e l’UE dall’altro, al fine di raggiungere un’intesa comune su quello che sarà necessario fare in vista dell’intensificazione dell’acquisizione di terre da parte di soggetti stranieri – principalmente in paesi dove la popolazione rurale che soffre la fame o rischia di essere malnutrita.
L’accaparramento della terra “si misura” in funzione dell’estensione delle terre accaparrate espresse in ettari: 100 ettari equivalgono a 1 chilometro quadrato. Quindi l’acquisizione di 40.000 ettari di terra corrisponde ad un territorio pari per dimensione a un quadrato il cui lato misura 20 km. Esistono acquisizioni che interessano centinaia di miliaria di ettari per unità.
2. L’impatto dell’acquisizione fondiaria straniera sulla popolazione rurale e sul sostegno all’agricoltura contadina
2.1 L’accaparramento straniero della terra
I mass media segnalano una frequenza quasi giornaliera di acquisizioni di appezzamenti di terre di grandi dimensioni da parte di soggetti stranieri sia in Africa che in altri continenti. Tuttavia mancano informazioni più precise sulla “portata esatta del fenomeno, ovvero l’esatta dimensione del fenomeno e se si tratta in effetti di un fenomeno in crescita ... o ancora di modesta entità” . Ciò potrebbe in parte essere dovuto alla constatata mancanza di disponibilità sia dei governi che dei vari settori privati a rendere pubbliche le informazioni sulle trattative e sugli accordi in tale ambito .
Durante lo scorso anno diverse organizzazioni, comprese le agenzie specializzate delle Nazioni Unite e le ONG, hanno iniziato a documentare e quantificare il problema. Uno studio del 2009 intitolato “Accaparramento della terra o opportunità di sviluppo?” realizzato congiuntamente dalla FAO, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) e l’Istituto Internazionale per l’ambiente e lo sviluppo (IIED), hanno analizzato l’acquisizione di oltre 1000 ettari di terra tra il 2004 e il 2009 in quattro paesi, Etiopia, Ghana, Madagascar e Mali. Lo ricerca sostiene che circa due milioni di ettari di terra nei quattro paesi summenzionati sono stati trasferiti a proprietari stranieri, compreso un progetto di 10.000 ettari nel Mali e una piantagione di 450.000 ettari per la produzione di biocombustibili in Madagascar. L’IIED4 ha identificato un incremento cumulativo dell’acquisizione fondiaria nei quattro paesi summenzionati durante l’ultimo quinquennio sia in termini di numero di progetti che appezzamenti di terra assegnati. Inoltre è stata identificata un’ulteriore crescita di queste attività. Nel luglio 2009 per esempio il governo dell’Etiopia ha designato e messo a disposizione di investitori stranieri interessati alla creazione di aziende agricole, 1,6 milioni di ettari di terra estendibile a 2,7 milioni. La dimensione di ogni singola acquisizione può essere molto grande. Le proprietà assegnate comprendono un progetto di agro-combustibili di 452.500 ettari in Madagascar, un progetto zootecnico di 150.000 ettari in Etiopia e un progetto di irrigazione di 1000.000 ettari nel Mali. Tra gli investitori compaiono il settore privato (istituti di credito, aziende agricole, società di investimento, investitori istituzionali, società commerciali, aziende minerarie ), e in alcuni casi il settore pubblico (direttamente o indirettamente), attraverso dei fondi sovrani, investitori nazionali.
In Africa l’affitto dei terreni è più diffuso dell’acquisto con una durata che varia da periodo brevi a periodi di 99 anni. I governi locali normalmente svolgono un ruolo determinante nell’assegnazione delle terre in affitto, se non altro, in quanto sono i governi locali a possedere la maggior parte (no non tutta) della terra in molti paesi africani5. A titolo di esempio il governo malgascio ha adottato la legge n° 2007-036 che stabilisce che “i soggetti giuridici stranieri non possono avere accesso diretto alla terra. Tuttavia tali soggetti stranieri hanno la facoltà, senza obbligo di alcuna autorizzazione, di sottoscrivere un contratto di affitto rinnovabile in modo illimitato la cui durata non potrà superare i 99 anni”. Anche in Etiopia per esempio il governo è proprietario della terra che viene affittata per periodi che vanno dai 20 ai 45 anni6. Il prezzo dell’affitto della terra varia in funzione della destinazione d’uso ecc.7
Ad incoraggiare la pratica dell’acquisizione della terra sono intervenuti molti fattori tra cui l’aumento della pressione a produrre biocombustibili in alternativa ai combustibili fossili8 viene annoverato come la causa principale di una domanda artificiale senza precedenti (di biocombustibili) che interessa le derrate destinate alla vendita, che con ogni probabilità durerà ben oltre il cosiddetto ciclo del “boom delle derrate”9. Altri fattori che sono intervenuti sono la crisi alimentare mondiale e la crisi finanziaria. I paesi benestanti ma poveri di risorse primarie hanno deciso di effettuare grosse acquisizioni di terra su larga scala per esternalizzare la produzione alimentare e garantirsi la sicurezza alimentare. Questo a sua volta ha spinto gli investitori privati, compresi i fondi di investimento, ad acquistare terra per scopi puramente speculativi, nella convinzione che il prezzo della terra coltivabile avrebbe continuato a salire in futuro. Nel rapporto sugli investimenti mondiali, l’UNCTAD ha osservato inoltre che l’impegno a rispettare l’obiettivo 1 di Sviluppo del Millennio (MDG-1) ha incoraggiato i paesi ad incrementare o promuovere i loro investimenti nell’agricoltura, con il coinvolgimento del settore privato domestico e le multinazionali10.
2.2 Che tipo di investimento? In cosa e per chi?
Le recenti acquisizioni di terreni da parte di soggetti stranieri hanno provocato un acceso dibattito nei media. Non sorprende quindi che i mass media abbiano puntato i riflettori su paesi ad alto tasso di insicurezza alimentare, come il Sudan per esempio, che hanno deciso di vendere le loro terre a paesi ricchi di risorse finanziarie e poveri di risorse primarie. I mass media hanno anche riferito che i governi locali avrebbero allontanato gli agricoltori locali costringendoli alla perdita dei loro mezzi di sostentamento per far porto ai nuovi acquirenti stranieri.
Il basso livello di investimenti in agricoltura nei paesi in via di sviluppo è diventato un motivo di preoccupazione e c’è chi vede in questo una causa diretta della recente crisi alimentare 11. Per decenni la cooperazione allo sviluppo nel settore dell’agricoltura ha subito una flessione costante e gli stanziamenti di bilancio a favore della produzione alimentare destinata ai consumi domestici dei paesi del sud sono stati mantenuti a livelli minimi (la maggior parte degli stati africani sono stati incoraggiati a smantellare, per motivi di adeguamento strutturale, i sostegni a favore dei coltivatori diretti che sono il pilastro principale della produzione alimentare interna in Africa. Le stesse istituzioni principali responsabili di tali politiche miopi ora scoprono che “non ci sono sufficienti investimenti in agricoltura”. Non ci sono dubbi sul perché questo fatto non venne constatato nel 2004 quando a tutti era già chiaro che l’obiettivo sulla fame dell’MDG non sarebbe stato raggiunto, ma solo nel 2008 in corrispondenza del boom dei biocombustibili e dell’impennata dei prezzi dei generi alimentari sui mercati internazionali. Ma che tipo di investimenti e che tipo di agricoltura avevano in mente queste istituzioni?
Secondo il Rapporto sulla Sviluppo Mondiale del 2008 tre persone povere su quattro nei paesi in via di sviluppo vivono in aree rurali, e la maggior parte di loro dipendono direttamente o indirettamente dall’agricoltura per la loro sopravvivenza 12. Nell’Africa Sub-Sahariana il numero di poveri che vivono nelle aree rurali è destinato a salire e probabilmente supererà il numero dei poveri che vivono nelle aree urbane entro il 2040. La maggior parte dei poveri nelle aree rurali dipendono dall’agricoltura per la loro sopravvivenza 13. La maggior parte dei paesi africani attualmente soffrono di livelli di raccolto bassissimi rispetto al resto del mondo e questo non dovrebbe sorprenderci, i contadini africani che producono per il consumo alimentare interno sono stati ignorati e marginalizzati sia dai loro stessi governi che dalla comunità internazionale. Allo stesso tempo i dati dimostrano che esistono le premesse perché gli agricoltori africani possano duplicare o addirittura triplicare i loro raccolti, soprattutto in modo sostenibile. Ciononostante la Banca Mondiale lamenta che “la svolta della rivoluzione verde nei raccolti di cereali che ha dato un forte impulso alla crescita economica ed agricola in Asia negli anni 60 e 70 non è ancora arrivata nell’Africa Sub-Sahariana ...”14. La Rivoluzione Verde ha dimostrato la sua mancanza di sostenibilità, pur favorendo l’agribusiness. Tra le altre cause, il fallimento della Rivoluzione Verde in Africa è stato attribuito, secondo la Banca Mondiale, ai bassi livelli di investimento15. Anche qui non c’è dubbio a quale tipo di investimento si fa riferimento, non si tratta di un investimento in un’agricoltura contadina sostenibile che produce cibo per la sicurezza alimentare, ma di investimenti nell’agrobusiness che produce derrate destinate alla vendita sui mercati internazionali e non al consumo interno con prospettive di grossi guadagni per i ricchi investitori.
Gli investimenti stranieri nei terreni agricoli possono essere considerati alla stregua degli investimenti diretti esteri (IDE) dove una società di un paese investe “fisicamente” in un altra società. Alcuni stati considerano gli IDE come una sorta di fonte di sviluppo economico, modernizzazione, crescita dei redditi e dell’occupazione. Le varie politiche di investimento sono incentivate per ridurre la povertà e promuovere lo sviluppo: il rapporto sullo sviluppo mondiale del 2008 fa esplicito riferimento alla necessità di maggiori investimenti nell’agricoltura in Africa, affermando che l’agricoltura è uno strumento di sviluppo vitale per il raggiungimento degli obbiettivi dello Sviluppo del Millennio 16. L’UNCTAD sostiene che malgrado l’importanza che l’agricoltura riveste come motore per lo sviluppo, in molti paesi in via di sviluppo l’agricoltura è stata assolutamente trascurata 17. Si afferma che una “vera crescita agricola potrebbe contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro e alla riduzione della povertà nei paesi in via di sviluppo”18. La Banca Mondiale ritiene che nei paesi poveri “ in presenza delle condizioni adeguate, l’agricoltura ha un’efficacia due volte maggiore nei confronti della riduzione della povertà rispetto all’aumento del PIL generato dai settori diversi da quello agricolo19.
Puntare il dito sulla necessità di aumentare la produzione agricola può essere fuorviante. Un aumento della produzione alimentare non porta necessariamente ad un aumento della sicurezza alimentare individuale, né riconosce il diritto umano al cibo – a meno che ciò non avvenga nei campi delle comunità più vulnerabili (ed in modo sostenibile dal punto di vista ecologico e sociale). Ci sono le prove che dimostrano che i contadini africani hanno il potenziale di raddoppiare e triplicare i loro raccolti nei campi – ed in modo sostenibile 20. Perché ciò accada i contadini africani hanno bisogno di un’attenzione ed un sostegno speciali – come spieghiamo più avanti - ma, prima di ogni altra cosa, hanno bisogno di accedere alle risorse per la produzione alimentare. Tali risorse includono la terra e/o l’acqua per la coltivazione e la raccolta. E se utilizzano i prodotti agricoli in eccedenza per dare da mangiare alla loro gente, devono poter accedere ai mercati nei quali potranno vendere la produzione in eccedenza. In presenza di un aumento di produttività del settore agroalimentare, gli agricoltori sono particolarmente vulnerabili nel vedersi negare o compromettere l’ accesso al mercato. Lo Speical Rapporteur sul diritto all’alimentazione ha lanciato un monito: “l’aumento della produttività non esaurisce tutto ciò che conta. Esiste anche il forte bisogno di dare la priorità ai più vulnerabili e cercare soluzioni che siano sostenibili dal punto di vista sociale e da quello ambientale”21.
Le ONG che lavorano su questo tema sottolineano che non tutti gli investimenti in agricoltura possono essere considerati delle opportunità di sviluppo. GRAIN osserva che “...”.investire in agricoltura” è diventato lo slogan di quasi tutte le istituzioni e degli esperti incaricati di risolvere il problema della crisi mondiale dell’alimentazione e che, forse in mono non intenzionale, il boom dell’accaparramento della terra si inserisce bene in questo quadro. Dovrebbe essere sufficientemente chiaro ormai che dietro la retorica di accordi vantaggiosi per le parti, si nasconde il vero obiettivo che non è lo sviluppo agricolo (meno sviluppo rurale) ma semplicemente lo sviluppo del settore agro-alimentare”22. Un rapporto dell’Istituto dell’Oakland analogamente sostiene che “c’è un pericoloso scollamento tra l’aumento di investimenti in agricoltura con i paesi ricchi che si accaparrano la terra nei paesi poveri e l’obiettivo di garantire un’offerta alimentare adeguata per le popolazioni più povere e più vulnerabili”23.
Nella sua lettera aperta all’UA24, lo Special Rapporteur sul diritto all’alimentazione ha ammonito che i grandi investimenti potrebbero essere controproducenti nei confronti del diritto all’alimentazione, e di altri diritti umani. Alcuni degli impatti potrebbero essere a): lo sfratto giudiziario che viene ingiunto nei confronti dell’agricoltore che formalmente non ha nessun diritto di proprietà sulla terra dove ha lavorato per alcuni decenni; b) la perdita di accesso alla terra per le popolazioni indigene e le comunità dedite alla pastorizia; c) la corsa all’accesso alle risorse idriche e d) la minore sicurezza alimentare nel momento in cui le comunità locali si vedono negare l’accesso alle risorse produttive o il paese, in seguito allo sviluppo, decidesse di aumentare la propria dipendenza dagli aiuti alimentari o le importazioni per garantire la propria sicurezza alimentare nazionale.
Il rapporto dell’International Assessment of Agricultural Science and Technology for Development (IAASTD)25 osserva che le politiche dei governi degli ultimi 60 anni hanno esercitato una forte discriminazione nei confronti dei sistemi di coltivazione contadina ed indigena tradizionale, nonché nei confronti dei sistemi agro-ecologici. Mentre l’agricoltura industriale gode di sovvenzioni e ampio sostengo pubblico e privato, ha il controllo delle terre migliori e l’accesso a ricche risorse idriche, nonché reti stradali e infrastrutture elettriche, all’agricoltura contadina, invece, non viene riconosciuta la minima sicurezza di accesso alle terre di qualità né a risorse idriche sufficienti per l’irrigazione. I contadini sono relegati in aree remote e marginalizzate e generalmente lavorano in condizioni estremamente precarie. L’attuazione dei programmi di aggiustamento strutturale hanno avuto un forte impatto sull’agricoltura a conduzione familiare durante gli anni 80, il che ha portato alla deregulation del commercio dell’agricoltura e allo smantellamento dei servizi pubblici di estensionismo agricolo, credito, forniture, distribuzione e vendita, nonché dei meccanismi di stabilizzazione dei prezzi. Quello di cui abbiamo bisogno è investimenti generosi nell’agricoltura contadina agro-ecologica coniugando insieme le conoscenze tradizionali con quelle moderne su sistemi agricoli sostenibili. I contributi per migliorare i metodi di produzione sono modesti in termini di capitale, ma ricchi in termini di conoscenza, competenze e in alcuni casi infrastrutture. Gli investimenti sono necessari ai fini del capacity-building e della formazione per introdurre le tecnologie necessarie per potenziare la produzione e preservare le risorse. Gli investimenti sono altresì necessari per costruire un contesto istituzionale favorevole alle comunità contadine e alla loro produzione.
2.3 L’accesso alla terra e ai mezzi di sussistenza 26 in Africa
La maggioranza delle popolazioni dell’Africa Sub-Sahariana sono popolazioni contadine che dipendano in modo assoluta dall’accesso alle risorse naturali (in particolare terra/acqua) per poter dar da mangiare alle proprie famiglie sia consumando direttamente i prodotti agricoli da loro coltivati che attraverso attività che generano reddito che permettono ai contadini di acquistare il cibo. Tuttavia nonostante questa forte dipendenza, molti contadini non hanno accesso diretto alla terra né godono di alcun diritto di proprietà nei confronti della terra. L’accesso ed i diritti alla terra sono fortemente condizionati dalla tradizione, dalla consuetudine, dalla cultura e non sono necessariamente sostenuti dalla legislazione nazionale. Spesso non godono di uno status riconosciuto legalmente e/o la terra è di proprietà dello stato, dove i diritti di accesso non vengono mai definiti. Una simile mancanza di diritto di proprietà formale aumenta la vulnerabilità della piccola agricoltura di sussistenza costretta a sfratti giudiziari spesso senza ricevere alcun compenso che traduca la loro perdita in risorse o messi di sussistenza.
Al momento dell’assegnazione degli appalti agli interessi di aziende straniere, i governi locali sostengono di assegnare delle terre da loro qualificate come marginali, “sotto-utilizzate” o “abbandonate”.27 Queste terre sono anche importanti per la sussistenza delle comunità rurali più povere che le utilizzano come terre da pascolo; come vie della transumanza; per la raccolta del legno da combustione (residui da forestazione), della biomassa (cippato), frutti selvatici e noci, piante medicinali e prodotti naturali e per aver accesso alle risorse idriche. Queste terre possono contribuire in maniera significativa al reddito delle famiglie più povere, in particolare quelle in condizioni di grave povertà che dipendono ancora di più dalla terra. In Etiopia, secondo i dati dell’IIED, tutte le acquisizioni di terra che sono state registrate dall’agenzia per la promozione degli investimenti nazionali sono classificati come investimenti che interessano terreni incolti privi di “utenti”, in realtà in base a dati certi sappiamo che alcune di questi terreni venivano utilizzate per alternare le coltivazioni a periodi di riposo e nelle stagioni secche per il pascolo”28.
Il passaggio dall’accesso alla terra alla dimensione di mercato ha un effetto esorbitante sulle popolazioni rurali più povere e soprattutto sui contadini. Un numero sempre crescente di contadini, utilizzatori dei terreni comuni, abitanti delle foreste e delle praterie e tutte le donne e gli uomini che dipendono dalla terra sono messi di fronte ad una vera e propria lotta per l’accaparramento di queste risorse. Spesso privi di qualsiasi forma di diritto di proprietà nei confronti della terra, queste popolazioni non sono in grado di competere con gli interessi di grandi investitori nazionali o internazionali, governi e multinazionali. A settembre/ottobre 2009 per esempio la stampa, compreso il New York Times, hanno segnalato che i contadini di alcune delle zone coltivabili della Tanzania rischiano di essere “sfrattate” da alcune multinazionali che intendono impiantare alcune piantagioni di bio-combustibili29 . Questa minaccia esterna oltre a ledere il loro accesso alquanto labile alla terra, mette a repentaglio la capacità dei contadini di nutrire se stessi, le loro famiglie e la comunità in cui vivono.
2.4 Biodiversità e risorse idriche
L’agricoltura commerciale su scala industriale (che include anche la produzione di biocombustibili) può avere un certo impatto sulla biodiversità del territorio. Lo Special Rapporteur sul diritto all’alimentazione ha recentemente espresso la sua preoccupazione riguardo “la diffusione di varietà uniformi che accelerano la perdita dell’agrobiodiversità”30. Sin dal 1998, la FAO aveva osservato che “circa il 75% della diversità fito-genetica è stata persa dagli anni 90 in poi a causa dell’abbandono da parte dei contadini a livello mondiale delle varietà locali multiple e delle “tipologie di terreno” locali a favore di varietà geneticamente uniformi ma ad alto rendimento di raccolto”31. Secondo l’UNEP32dato che l’agricoltura su scala industriale rischia di soppiantare le aree di agricoltura contadina caratterizzate da un alto valore di bio-diversità, la bio-diversità in quanto tale verrà svalorizzata. La creazione di enormi piantagioni per la produzione di bio-combustibili liquidi sui prati a maggiese o terreni incolti per esempio potrebbe mettere a repentaglio le specie floristiche selvatiche commestibili che crescono in questi territori. Ciò potrebbe ripercuotersi contro le popolazioni rurali più povere che dipendono dalle risorse naturali e dalla biodiversità per assicurare un’alimentazione a se stessi e alle proprie famiglie. 33 Questo è tanto più reale quanto più un territorio è a rischio di carenza alimentare34.
La promozione e l’investimento nell’agricoltura commerciale potrebbe mettere in serio pericolo l’accesso delle comunità locali alle risorse idriche in particolare per quanto riguarda la produzione di bio-combustibili dato la grossa domanda di energia in questo tipo di coltivazioni. Sembra infatti che la produzione di bio-etanolo richieda enormi quantitativi di acqua35. Le grandi piantagioni per la coltivazione dei bio-combustibili possono anche essere caratterizzate da un aumento del suolo e un maggior inquinamento delle acque di irrigazione (fertilizzanti e pesticidi), maggiore erosione del suolo e acque di reflusso con la conseguente perdita di biodiversità36.
2.5 Opportunità occupazionali
I governi, le istituzioni finanziarie internazionali e gli investitori privati sostengono che la commercializzazione della terra e l’investimento che ne consegue possono creare nuove opportunità occupazionali nelle aree rurali, sostenendo che un maggiore accesso al mercato del lavoro possa compensare la perdita di terra ai fini della garanzia della sussistenza delle popolazioni.
Molti osservano tuttavia che queste nuove occupazioni riguardano per lo più lavori di basso livello a condizioni precarie, mal retribuiti e destinati principalmente a lavoratori agricoli stagionali e non specializzati37. Lo Special Rapporteur sul diritto all’alimentazione riconosce che “le persone che lavorano nell’agricoltura sono per lo più persone che non hanno accesso al cibo” pertanto esorta alla tutela dei diritti dei lavoratori agricoli: “ I lavoratori agricoli devono poter guadagnare un salario adeguato per poter aver accesso al cibo”38. Inoltre alcuni temono che a causa dell’aumento della meccanizzazione nella produzione di bio-combustibili c’è il rischio che possano diminuire i posti di lavoro nel settore agricolo nel breve e lungo termine39. L’IFPRI osserva che a seconda di come avverà la gestione “la riconversione delle terre ad uso industriale per grandi piantagioni e aziende agricole ... genera un basso livello di occupazione per la manodopera locale specializzata e non specializzata”40 .
Quindi i soggetti nazionali e internazionali che intervengono in questo quadro non possono sostenere che la commercializzazione della terra e gli investimenti che ne conseguono creeranno nuove opportunità di lavoro sostenibile a lungo termine per coloro che ne saranno coinvolti.
2.6 Conflitti/Instabilità politica
L’effetto delle enormi pressioni sulle risorse della terra esercitate dagli interessi globali hanno creato nuove tensioni nell’accesso alla terra. Il conflitto potenziale viene ulteriormente aggravato dall’ambiguità che aleggia intorno al diritto alla terra. Il diritto alla terra di un’azienda può non essere percepito come legittimo dalla popolazione e viceversa. In una presentazione ad una tavola rotonda dell’Assemblea Generale, la Banca Mondiale ha ammesso il potenziale conflitto dovuto alla mancanza di una linea di demarcazione netta dei diritti alla terra delle comunità locali, la presenza di informazioni inadeguate, la mancanza di un processo di consultazione con le comunità locali coinvolte e la mancanza di trasparenza41.
I conflitti sull’accesso alle risorse naturali non è nulla di nuovo come dimostra, per esempio, la guerra attualmente in corso nella Repubblica Democratica del Congo. Conflitti di questo tipo spesso sfociano in fenomeni di diffusa migrazione di popolazioni. Il ruolo predominante dell’agricoltura e l’uso sostenibile della terra come fonte di sostentamento in Africa, fa si che la migrazione delle popolazioni spesso porta la fame e in alcuni casi anche la carestia. Nel 2000 il FIAN per esempio ha documentato il modo in cui il conflitto sulle risorse naturali in Sudan e la risposta dello stato ha reso le popolazioni locali incapaci di procurarsi il cibo per la sopravvivenza introducendo una grave carestia. 42
Nel maggio 2007 nel Kampala, Uganda, due dimostranti sono stati uccisi e un cittadino asiatico lapidato a morte durante una massiccia dimostrazione contro la decisione del governo locale di riconvertire migliaia di ettari di foresta tropicale su un isola nel lago Victoria in una piantagione di palme da olio. Le manifestazioni si sono trasformate in un’odiosa rivolta di carattere razzista e hanno chiaramente portato alla luce un conflitto latente sull’uso delle risorse naturali in Uganda. 43 Nel gennaio del 2003 nel Camerun scoppiò uno scontro violento tra forze dell’ordine e popolazioni locali quando a queste ultime venne vietato l’uso delle risorse della piantagione SOCOPALM da parte delle forze dell’ordine. 44 Il grido di protesta che nel Madagascar ha suscitato la proposta di accordo con la società sud coreana, Daewoo Corporation, illustra i valore emotivo attribuito alla questione della terra ed il potenziale conflitto politico e di guerriglia.
2.7 I paesi africani come repubbliche dei bio-combustibili?
Le conseguenze a medio e lungo termine per l’economica politica e per il rispetto dei diritti umani nel paese ospitante sono un ulteriore motivo di preoccupazione. “In questo contesto l’esperienza delle repubbliche delle banane è istruttiva. Le multinazionali che hanno investito in America centrale, i Caraibi, la Colombia, l’Ecuador e altri paesi inizialmente producevano ed esportavano banane, ananas, caffè ed altre derrate. Per un certo periodo, attraverso il loro controllo sulle enormi piantagioni, riuscirono a mettere un freno sulle oligarchie locali che dipendevano quasi interamente dal flusso di cassa generato dalle multinazionali dell’agro-alimentare. Come ci insegna la storia, non passò molto tempo prima che gli “investitori” stranieri riuscissero a acquistare la proprietà e la gestione delle ferrovie, dei trasporti su gomma, dei porti e il sistema bancario di quei paesi. La storia ci ha anche insegnato che i disordini sociali scoppiati in reazione all’alleanza oppressiva tra le oligarchie e le multinazionali ha finito per produrre delle atrocità che sono durate decenni in quei paesi.”45
2.8 Aumento della dipendenza dagli aiuti alimentari o dalle importazioni per ottenere la sicurezza alimentare nazionale
Malgrado gli aiuti alimentari ottenuti attraverso il WFP, il Sudan e il Madagascar hanno dato in locazione vasti territori ad investitori stranieri. La Tanzania per esempio pur avendo bisogno di maggiori aiuti alimentari per via dei lunghi periodi di siccità causati dal cambiamento climatico, ha consentito a diverse multinazionali di ottenere vasti territori per la produzione di bio-combustibili. 46 Una ONG tedesca, la Welt Hunger Hilfe, osserva che “gli stati che dipendono dalle importazioni alimentari, in modo particolare, stanno cedendo sempre più territori agli investitori stranieri senza riuscire a garantire un miglioramento dei redditi e la sicurezza alimentare per la popolazione locale”47. L’Istituto dell’Oaklands osserva che “questo passaggio dal controllo alimentare nazionale a quello straniero significa che i grandi accordi con le multinazionali “riducono la probabilità che i paesi più poveri possano raggiungere l’autosufficienza alimentare”48.
Spesso i paesi ospitanti sostengono che i terreni dati in locazione agli investitori esteri non sono utilizzati. Anche se ciò fosse vero 49 , con l’aumento demografico , con la diminuita disponibilità di terre fertili dovuta ai cambiamenti climatici, e l’aumento dell’urbanizzazione, l’apparente abbondanza di terra finirà per esaurirsi.
2.9 I gruppi maggiormente colpiti
Come è stata già sottolineato, i contadini, in particolare quelli che non hanno nessun diritto nei confronti della terra in cui lavorano rischiano di perdere l’accesso alle risorse naturali di cui hanno estremamente bisogno per la loro sussistenza. Di questi, quelli più maggiormente a rischio sono le minoranze ed i gruppi tradizionalmente marginalizzati come le popolazioni indigene e quelle dedite alla pastorizia e le famiglie con un capofamiglia donna.
Popolazioni indigene e popolazioni dedite alla pastorizia
La precarietà dell’accesso delle popolazioni indigene alla terra è un fenomeno ben documentato. Il Presidente 50 del Foro Permanente delle Nazioni Unite sulle Questioni Indigene sostiene che l’espansione su larga scale dei bio-combustibili potrebbe mettere in pericolo i diritti alla terra di 60 milioni di popolazioni indigene51. Nel 2007 il Rapporteur Speciale delle NU sui diritti delle popolazioni indigene notava che negli ultimi anni i mandriani Masai del Kenia sono stati depauperati della maggior parte delle area da pascolo nomadi o semi nomadi52. Spesso sotto la pressione degli istituti finanziari internazionali la maggior parte delle aree comuni per il pascolo furono trasformate in proprietà agricole di privati. Di conseguenza, i Masai insieme ad altre popolazioni dedite alla pastorizia, come i Somali e i Turkana hanno sofferto una forte riduzione dei loro greggi, un graduale deterioramento delle loro condizioni di vita e un aumento della povertà e dell’insicurezza associata ai periodi di siccità nelle aree aride dove cercano di sbarcare il lunario. Nello stesso tempo, il Rapporteur Speciale attribuisce la causa all’alto livello di povertà dei Masai. Tatota, Barabaig e delle altre popolazioni nomadi dedite alla pastorizia, come i cacciatori Hadza e Akie che si sono visti ridurre la terra da loro utilizzata per le compagne di acquisto per fini agricoli principalmente da parte delle aziende commerciali straniere.
Nel numero di settembre 2008 del Bulletin53, il World Rainforest Movement (WRM) sottolinea come nel Camerun le comunità Bagyeli (Pygmy), Bulu e Fang siano state sfrattate dalle loro terre dalla crescita vertiginosa delle piantagioni SOCAPALM di palma da olio senza ottenere nessun risarcimento in cambio. La SOCAPALM (di proprietà del gruppo francese Bolloré) è la più grande piantagione di palma da olio del Camerun. Queste comunità vivono delle risorse naturali della foresta per potersi nutrire. La SOCOPALM non avrebbe offerto alle comunità locali di lavorare nelle piantagioni. La WRM ha anche ammesso che l’industria agro-alimentare delle palme da olio si avvantaggerà enormemente del previsto boom di bio-combustibili, un nuovo mercato nel quale il gruppo francese Bolloré, in Camerun da lungo tempo, avrà un ruolo cruciale.
Famiglie con un capo famiglia donna
Le donne e quindi in particolare le donne capofamiglia sono particolarmente colpite dagli investimenti nella terra e dalla commercializzazione dell’agricoltura. Uno studio del 2008 condotto dalla FAO ha rivelato che i cambiamenti nell’uso della terra a favore di forme di coltivazioni commercializzate spesso escludono le donne in modo spropositato54.
Nell’Africa Sub Sahariana le donne tipicamente sono le principali procacciatrici di sostentamento unicamente responsabili di produrre i generi alimentari per nutrire la famiglia, mentre gli uomini sono fondamentalmente impegnati nella produzione di derrate destinate alla vendita. Pertanto il benessere delle famiglie è nelle mani delle donne e ciò è confermato dalla mancanza di correlazione tra il reddito degli uomini ed il livello di alimentazione del nucleo familiare, mentre un aumento del reddito della donna è positivamente correlato con un alto livello di alimentazione per la famiglia55.
Accesso alla terra: le donne in Africa continuano a non avere alcuna sicurezza di accesso alla terra né a godere di diritti nei confronti della stessa rispetto agli uomini. In Burkina Faso per esempio ci sono delle leggi che impediscono alle donne di godere di alcun diritto nei confronti della terra indipendentemente dai loro mariti o dai loro familiari maschi56. In Zambia57 e in Camerun58, quando esistono delle leggi nazionali che riconoscono il diritto alla terra per le donne, spesso mancano gli strumenti attuativi e il diritto consuetudinario prevale. In diversi paesi africani Sub Sahariani, (Costa d’Avorio e nel nord parte del Ghana59 , Burkina Faso60) le donne ricevono dai mariti le terre più scadenti.
Il fatto di trovarsi all’ultimo posto nella gerarchia in fatto i accesso alla terra. unitamente alla crescente domanda di terra e alla parallela commercializzazione delle stessa fanno si che il diritto alla terra per le donne viene ad essere compromesso in modo sproporzionato rispetto a quanto non avvenga per gli uomini. A mano a mano che le comunità vengono allontanate dalle loro terre di origine e l’accesso alla terra diventa sempre più difficile, aumenta la tendenza degli uomini di assegnare alle donne le terre meno fertili. Questa tendenza ovviamente si ripercuote negativamente sulla capacità delle donne di rispettare gli obblighi familiari, compreso il tradizionale compito di procacciare ed assicurare il cibo alla propria famiglia. Sin dal 1999, la FIAN ha documentato come la crescente domanda di terra ed il relativo valore monetario attribuito alla stessa colpisce i diritti di usufrutto61 delle donne nei confronti della terra all’interno della tribu Nso, Camerun62. Almeno 10 donne nel NSA hanno dichiarato di aver subito la sottrazione della terra che loro coltivavano abitualmente da parte del proprietario63.
Occupazione: I proprietari terrieri tendono a preferire le donne per lavorare la terra perché in questo modo possono pagarle di meno di quanto non dovrebbero pagare i loro colleghi maschi. Secondo l’ILO il divario di genere (“gender gap”) in termini di guadagno è particolarmente elevato nei lavori cosiddetti informali come per esempio i lavori occasionali e in sub-appalto64, i tipici lavori delle piantagioni. Con l’aumento dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile, le piantagioni rappresentano una minaccia per la sicurezza alimentare delle famiglie sia quelle tradizionali che quelle con un capo famiglia donna.
2.10 Studi di casi
I seguenti studi di casi offrono un approfondimento del contesto, attuazione e impatto del fenomeno dell’accaparramento della terra.
2.10.1 Uganda: i piccoli agricoltori perdono la terra che passa nelle mani della Neumann Kaffee Group a Mubende65
La FIAN ha indagato e documentato il caso che ha coinvolto lo sfratto giudiziario di 401 famiglie (approssimativamente 2041 persone) ad agosto 2001 a seguito della decisione del governo di affittare la terra all’azienda tedesca produttrice di caffè allo scopo di realizzare una piantagione gestita dalla controllata locale Kaweri Coffee Plantation Ltd.. Le famiglie colpite dallo sfratto non sono state consultate durante il periodo di assegnazione della terra. Inoltre durante lo sfratto, è intervenuto anche l’esercito per demolire le case, distruggere la proprietà e confiscare i prodotti principali come la farina di manioca e le patate. Dal momento dello sfratto giudiziario ad oggi solo il 2% delle persone sfrattate sono state ricompensate ma non in modo adeguato.
Contesto generale:
Dall’inizio degli anni ‘90 il governo dell’Uganda aveva inseguito una strategia di ristrutturazione economica neoliberista e di privatizzazioni secondo i principi contenuti nel “Consenso di Washington” 66 e in stretta collaborazione con il FMI e la Banca Mondiale. Nel 1991 venne adottato il codice per gli investimenti e venne costituita l’Autorità per gli investimenti dell’Uganda per attirare investimenti diretti esteri in Uganda.
Nel 2000 viene adottato il Piano per la Modernizzazione dell’Agricoltura (PMA) come strumento per il Piano per lo Sradicamento della Povertà che costituisce la base della politica agricola del governo. Lo scopo del PMA è quello di “sradicare la povertà attraverso lo sviluppo di un settore agro-alimentare ed industriale dinamico, sostenibile, competitivo, capace di generare profitti 67, che potrà essere realizzato consentendo la conversione della sussistenza in agricoltura commerciale. Il governo ritiene che la piantagione di Kaweri sia una componente essenziale in questo quadro generale. Tra gli altri partners e membri del comitato direttivo ci sono Danida, DFID, SIDA e GTZ.
Poiché il governo non voleva vendere i beni del paese ad aziende straniere, la legge sulla terra del 1998 vieta la vendita della terra ad imprese non ugandesi. Tuttavia, le aziende estere continuano ad essere in grado di ottenere la terra. Se gli investitori esteri vogliono la terra, i governo compra la stessa attraverso la UIA dai proprietari privati o dalle comunità locali e successivamente affitta la terra agli investitori.
Impatto
Accesso alla terra/sussistenza: per tutto il 2009 la maggior parte delle popolazioni sfrattate vivevano ancora lungo il confine della piantagione e non era chiaro se sarebbe stato concesso restare lì. Questa gente ha a disposizione solo piccoli appezzamenti di terra da coltivare che sono insufficienti anche per coltivare il cibo di cui le loro famiglie hanno bisogno in un anno. Una delle persone sfrattate osservata: “non avere la terra per noi significa non avere il cibo>”.
Fino ad oggi le persone sfrattate non hanno ricevuto alcuna risarcimento per la perdita dei loro mezzi di sostentamento. A causa della mancanza di chiarezza in fatto di diritti alla proprietà, l’attuale proprietario, Kawari, sostiene che la maggior parte delle famiglie si sono sistemate lì illegalmente e quindi non devono essere risarcite. Ciò a dispetto della chiarezza della legge ugandese che riconosce l’occupante in buona fede e quello in condizione di legalità. In base alla Legge sulla Terra del 1998 l’espropriazione può avvenire solamente in cambio di un risarcimento, e anche chi occupa un terreno illegalmente non può essere sfrattato contro la propria volontà dopo aver occupato un terreno per oltre 12 anni se in questo periodo il proprietario non ha comunicato all’affittuario di restituire la terra (affittuari in buona fede). Inoltre il due per cento della popolazione che è stato ricompensato con altra terra, hanno ricevuto meno terra di quanto non avessero in precedenza e in alcuni casi gli stessi appezzamenti sono stati assegnati a due famiglie. Non c’è acqua potabile, servizi ed infrastrutture e anche se le nuove terre si trovano ai bordi della foresta, è vietato tagliare gli alberi di qualsiasi tipo. Nell’agosto del 2008 è stata pubblicata un nuovo rapporto sulle condizioni di vita delle popolazioni sfrattate, si è trattato di una pubblicazione curata da ActionAid che faceva seguito ad un altro studio, nella quale è stato documentato che la situazione delle popolazioni sfrattate non è migliorata in modo significativo, al contrario sembra essere deteriorata, in particolare con riferimento alle condizioni degli alloggi68.
Occupazione: A seguito degli sfratti subiti alcune famiglie di contadini/coltivatori ecc sono stati assunti come braccianti e manodopera occasionale per lavorare nella piantagione di caffè. La loro paga era di 2000 USH (circa 1 dollaro US) al giorno per un determinato quantitativo di lavoro. Se il lavoro non veniva completato il bracciante non riceveva alcun compenso e molto spesso i braccianti ricevevano 1 dollaro US ogni due giornate di lavoro. Alcuni lavoratori hanno riferito di aver dovuto aspettare intere settimane prima di essere pagati. La direzione della piantagione di caffè sostiene che i braccianti sono assunti dalle società sub-appaltatrici e hanno anche sostenuto che la paga dei braccianti è adeguata se paragonata a quella delle piantagioni di zucchero e the. I salari sono un problema in Uganda a causa della situazione politica i sindacati sono deboli e non esiste il salario minimo. Il 1 marzo 2004 i braccianti hanno fatto sciopero per protestare contro le pessime condizioni di lavoro nella piantagione. La direzione della piantagione ha fatto intervenire la forze anti-sommossa che hanno usato misure violente per soffocare lo sciopero.
La piantagione Kaweri ha fatto si che queste famiglie avessero bisogno dei loro salari dopo essere stati espropriati della loro terra. Prima dell’espropriazione queste persone erano state in grado di lavorare in modo autonomo riuscendo a guadagnare stipendi significativamente superiori. Uno studio commissionato da ActionAid ha stabilito che c’è stata una riduzione significativa dei redditi di questi lavoratori69.
Accesso all’acqua: Prima dell’evacuazione circa due terzi delle famiglie avevano accesso all’acqua attraverso i pozzi. Ora solo un quinto ha accesso ai pozzi mentre la metà deve utilizzare pozzi non controllati. Sebbene la Kaweri abbia costruito una nuova pompa ad acqua quando la FIAN ha visitato la zona nell’agosto del 2003 l’acqua è risultata contaminata da una concentrazione potenzialmente pericolosa di ferro. Malgrado le proteste the questione rimane ancora irrisolta ed infatti dall’evacuazione sono aumentati i casi di diarrea e di malattie similari.
Accesso ai servizi sanitari: Prima dell’evacuazione le famiglie potevano avere accesso a farmacie private relativamente ben fornite, ora la maggior parte delle farmacie dipendono dalla farmacia pubblica che dista 10 miglia. A seguito di questa situazione igienica, il tasso di mortalità è aumentato sensibilmente.
3. 10.1 Mozambico: il Progetto ProCana70
Informazioni sul contesto generale
Il progetto ProCana si trova nel distretto Massingir della provincia di Gaza ed è il più grande progetto nel suo genere nel Mozambico in quanto prevede un investimento approssimativo di 510 milioni di dollari US. L’azienda britannics BioEnergy Africa ha acquistato dal Central African Mining and Exploration Company (CAMEC) e da un altro investitori non identificato il 94 per cento del progetto nel 2008/200971 ma ha annunciato recentemente la sospensione degli investimenti nel progetto ProCana per poter avere una riserva di cassa e per concentrarsi sulle esplorazioni minerarie e lo sviluppo nell’Africa Sub Sahariana72. Il 25% del valore del capitale azionario è apparentemente controllato da capitale mozambicano dove la Petromoc è uno degli azionisti di maggioranza.
ProCana ha iniziato ad identificare i terreni adatti per la coltivazione dello zucchero da canna nel 2006 e fece domanda per avere l’assegnazione dei terreni che ottenne fortunatamente nella misura di 30.000 ettari in base ad un contratto a lungo termine per 50 anni e rinnovabile. ProCana sta investendo molto in sistemi di irrigazione a gocciolamento e utilizzerà circa 410 milioni di metri cubi di acqua all’anno che verranno prelevati dalla vicina diga Massingir. Già nel settembre del 2009, la ProCana aveva già bonificato 830 ettari di terreni e piantato 25 ettari di terra con 6 varietà di zucchero da canna come vivaio. L’idea è stata quella di piantare fino a 800 ettari nella prima fase e successivamente a scalare fino a 5000 ettari per tre volte così che entro il 2011 potrà essere completamente funzionante. L’impianto di etanolo dovrebbe essere pronto alla fine del 2010 così che la produzione di etanolo su scala commerciale potrà iniziare nel 2012. ProCana prevede di produrre fino a 3000.000 m3 di etanolo all’anno ed è convinta che in questo modo sarà in grado di competere con la produzione di etanolo in Brasile. In base alle previsioni, 80 percento dell’etanolo della ProCana verrà commercializzata oltre il confine per i paesi SADC, ma in gran parte al Sud Africa. Le principale linea di produzione non riguarderà i bio-combustibili per il settore del trasporto, ma la plastica a base di etanolo per il Sud Africa.
ProCana vuole essere vista dalla comunità locale come un progetto di sviluppo. ProCana prevede di promuovere i programmi di produzione di canna da zucchero per la popolazione locale e a tal fin sta già aiutando con dei finanziamenti i contadini locali che vivono intorno alla piantagione affinché i contadini possano sviluppare delle coltivazioni che rientrino nel loro progetto: 20 percento della produzione di cibo e 80 percento zucchero di canna. Secondo le stime della ProCana grazia al nuovo progetto, un contadino potrà guadagnare circa $12.00 l’anno, ovvero 5 volte in più del guadagno medio in Mozambico. Allo stesso tempo, la ProCana sta costruendo nuovi impianti per il bestiame, come per esempio nuovi abbeveratoi per rispondere alla forte vocazione pastorale della ragione. Secondo i dati forniti dal project manager della ProCana circa 150 persone della comunità locale lavorano per la ProCana giaà dal settembre del 2009.
Gli impatti potenziali sull’accesso alla terra e sui mezzi di sussistenza delle comunità locali
Durante il lancio del progetto ProCana, il Presidente del Mozambico, Armando Guebuza, ha detto che “lo sviluppo dei bio –combustibili non farà evacuare i contadini del Mozambico dalle loro terre”. Secondo quanto detto dal leader del Mozambico, quelle che verranno utilizzate per produrre bio-combustibile sono terre sotto-utilizzate o addirittura abbandonate e l’iniziativa prevede di “evitare di usare terre utilizzate per la produzione di cibo”73. Le autorità distrettuali hanno dichiarato che la zona assegnata alla ProCana era una zono semi deserta che non veniva usata per la produzione agricola ma solo per la produzione di carbone da parte di occupanti abusivi che stanno distruggendo i pochi alberi che restano della foresta. Comunque, in occasione di una visita dei ricercatori della FIAN è stata registrata la presenza di alcune stazioni mediche e scuole in alcuni villaggi (Chinbangane, Chitar, Zulu, Mahiza and Mocatini). A Chinbangane i ricercatori hanno registrato la seguente testimonianza:
“Ci sono 61 famiglie che vivono in questo villaggio. Noi siamo nati in questo villaggio, così come sono nati in questo villaggio i nostri genitori che sono stati seppelliti nel cimitero del villaggio. Noi produciamo granturco, patate dolci, arachidi, fagioli e alleviamo un pò di bestiame ... Si è vero siamo stati interpellati dalla ProCana e dall’amministrazione locale a proposito della localizzazione di un nuovo sito anche per il pascolo ma non eravamo convinti. Non eravamo d’accordo. Per quanto ne so io anche altre persone del nostro villaggio non erano d’accordo. Stiamo cercano di contattare altre persone di altri villaggi per riunirci e discutere la questione insieme. Abbiamo paura che saremo costretti ad abbandonare la nostra terra nostro malgrado. L’amministrazione locale e la ProCana ci hanno detto che nei nostri terreni non c’è irrigazione e che ci verrà assegnato un altro sito provvisto di sistema di irrigazione. Perché non mettono gli impianti di irrigazione qui, nei nostri terreni, se veramente vogliono aiutarci? Possiamo anche coltivare la canna da zucchero per la ProCana, ma noi dobbiamo restare nella nostra terra ... abbiamo tutto quello di cui abbiamo bisogno. Questa terra è nostra. Noi non ce ne andremo.”
Secondo le informazioni fornite dal manager della PrCana, 5 comunità locali sono state interpellate: Zulu, Chitar, Bang, Mahiza e Mocatini. Purtroppo i ricercatori non sono stati in grado di scoprire il numero effettivo di persone che vivono nelle terre assegnate alla ProCana né il numero di persone che saranno coinvolte nel processo di re-localizzazione. Se prendiamo il numero delle famiglie che vivono a Chinbangane (61) come media, per lo meno 360 famiglie in tutto saranno interessate da questo progetto. Probabilmente la cifra reale sarà molto più alta dato che Chinbangane sembra essere uno dei villaggi più piccoli di questa regione.
Per complicare ulteriormente le cose, la terra assegnata alla ProCane, per lo meno in parte, rientra in quello che viene definito il Parco nazionale del Limpopo, il cui scopo è quello di accogliere le famiglie che ancora vivono nella riserva naturale. Il Reverendo Dinis Matsolo, segretario generale del Consiglio Cristiano del Mozambico, ha spiegato ai ricercatori che 9 comunità (Mavoze, Massingir Velho, Bingo, Makavene, Chibatana, Matinga, Machaule, Machamba, Ximange) vivono ancora dentro il parco e solo ad una di queste è stata assegnata una nuova area. La chiesa Luterana e quella Cattolica hanno aiutato queste comunità sin dal 1994 in questa si trattava di rifugiati di guerra che erano stati rimpatriati e riassegnati ad una zona che successivamente è diventata il parco naturale del Limpopo. Ora queste comunità devono essere spostate ancora una volta. Sembra che il Ministero del Turismo, l’ente che gestisce il parco, abbia trattato con il Ministero dell’Agricoltura per l’assegnazione dei territori destinati a queste comunità. Il Ministero dell’Agricoltura avrebbe promesso al Ministero del Turismo di ottenere i territori che si trovano nel distretto di Massingir. Tuttavia l’assegnazione dei territori non è stata ancora autorizzata ufficialmente e la ProCana sembra si sia fatta avanti per richiedere un contratto di locazione in questa area, rilanciando sull’offerta del Ministero del Turismo.
Non è affatto chiaro cosa accadrà con le comunità che attualmente vivono in questi territori assegnati alla ProCana. In realtà c’è stato un processo di consultazione con le comunità locali a proposito del progetto ProCana, in virtù della Legge Fondiaria del Mozambico, sebbene sembri che solo le elite locali e gli anziani siano stati effettivamente consultati, alcuni dei quali avrebbero approvato la realizzazione del maga progetto nelle loro comunità.74 D’altro canto, la consultazione della comunità di Chinbangane non è stata fatta in modo corretto come risulta dalle testimonianze. Le informazioni ricevute non erano sufficientemente chiare, né tanto meno presentate in modo imparziale. Invece di mettere all’ordine del giorno la questione se le comunità locali approvassero o meno il progetto sull’etanolo e a che condizioni, sembra che il processo di consultazione si limitasse esclusivamente a definire i termini della ri-localizzazione dei territori assegnati alla ProCana. E persino la questione dei termini della ri-localizzazione sembra non essere stata affrontata in modo corretto in quanto né la ProCana, né le autorità locali hanno parlato dell’esistenza dell’obbligo di un vero e proprio piano di nuovi insediamenti per queste comunità definendo gli impegni, i tempi e gli altri dettagli tecnici. Tutto ciò ha messo in discussione l’intero processo di consultazione gettando delle ombre sulla questione della responsabilità.
Queste terre rappresentano la principale fonte di sussistenza per le comunità del Massingir. Le comunità che vivono in queste zone sono dedite a tre principali attività agricole, allevamento di bestiame per le comunità dedite alla pastorizia, produzione di carbone da legna e agricoltura di sussistenza. In tal senso, la terra viene tradizionalmente utilizzata in modo molto intensivo. Il progetto ProCana cambierà radicalmente il modo di vivere delle comunità dedite alla pastorizia, alterando gli spazi e le vie destinati al pascolo e alla transumanza ed imponendo l’abbandono di alcune tradizioni utilizzate per l’allevamento del bestiame a favore di forme più sedentarie di allevamento. Una grossa parte della terra assegnata alla ProCana è costituita da aree e vie di transito tradizionalmente utilizzate dalle comunità dedite alla pastorizia.
La perdita delle proprie terre e dei mezzi di sostentamento derivanti dalla terra in assenza di una adeguata compensazione per i danni subiti o assegnazione di nuove terre corrisponderebbe ad una grave violazione del diritto ad adeguate condizioni di vita per le comunità colpite, compreso il diritto all’alimentazione e all’alloggio.
Infine, oltre ai 30.000 ettari che la ProCana gestirà in virtù di un progetto industriale per una monocultura, l’azienda e l’amministrazione locale invitano i contadini che riceveranno un terreno nell’area adiacente alla piantagione ProCana di produrre la canna da zucchero e prodotti che possano essere di utilità per la ProCana attraverso i vari progetti sostenibili (outgrowing schemes). Esistono dai 20.000 ai 70.000 ettari di terreni ri-assegnati intorno alla piantagione della ProCana e questi terreni sono destinati a servire gli interessi industriali della ProCana. Quindi in sostanza, se il piano industriale della ProCana ha successo, potrebbe controllare fino a 1000.000 ettari di terra, tre volte la quantità di terreni attualmente assegnati.
Come già detto, la ProCana sostiene che il suo è un progetto di sviluppo che favorirà le comunità locali e che creerà occupazione. Non esiste alcun impegno vincolante in termini di numero di posti di lavoro da garantire. Il numero dipenderà dal tipo di leggi di regolamentazione il governo locale vorrà varare in materia di ambiente, lavoro e sicurezza sociale. Per esempio, se il governo vieterà di bruciare le canne da zucchero e sarà più flessibile sugli standard di lavoro, allora l’opzione scelta molto probabilmente sarà quella di un’azienda non meccanizzata in questo modo verrà assunta più manodopera, che la ProCana stima nell’ordine di 5.000 o 6.000 unità, mentre nell’altro caso verrebbero assunte dalle 3.000 alle 4.000 persone. Inoltre, uno degli anziani che vive nella zona assegnata alla ProCana al quale è stato chiesto di abbandonare la sua terra dove sono nati e hanno vissuto i suoi antenati ha espresso molti dubbi sui vantaggi generati da un aumento della manodopera all’interno della piantagione, infatti l’anziano teme che solo i più giovani e i più specializzati tra gli uomini verranno presi a lavorare nella piantagione.
Impatto potenziale sull’accesso all’acqua delle comunità locali
La terra assegnata alla ProCana, come già specificato è situata in prossimità della diga Massingir e al fiume Elephants. Quando abbiamo chiesto al manager della ProCana quale fosse il rischio maggiore di questo investimento, lui ha immediatamente parlato del possibile conflitto che sorgerebbe intorno alla questione della quantità di acqua da estratte dalla diga Massingir per irrigare la piantagione della ProCana, rispetto alla quantità di acqua necessaria per produrre elettricità. L’esportazione di elettricità rimane una priorità fondamentale. Dopo tutto, i prestiti per la costruzione della diga devono essere rimborsati. In momenti di siccità, la diga molto probabilmente rispetterà i propri impegni erogando una quantità minima di elettricità (che verrà esportata al Sud Africa) – lasciando all’asciutto i terreni agricoli75. In questo contesto, la ProCana probabilmente avrà bisogno di estrarre più acqua dalla diga rispetto ai livelli che sono stati concordati con le amministrazioni locali e quelle centrali.
Nelle situazioni di siccità (molto probabili in questa regione semmi-arida) il governo dovrà prima rispettare i propri impegni a produrre elettricità per l’esportazione in Sud Africa e poi per l’industria nazionale. Tutta l’acqua rimanente molto probabilmente verrà assegnata dal governo centrale alla ProCana in quanto questi ultimi hanno sostenuto che in ogni caso riceveranno il sostegno del governo nazionale per soddisfare il proprio fabbisogno energetico ai fini dell’irrigazione. Bioenergy Africa sostiene che “per garantire che la produzione di canna non sia compromessa da altre potenziali utenti, la ProCana ha ricevuto una garanzia dal governo del Mozambico affinché le sia concesso di utilizzare fino a 750 milioni di mc l’anno grazie ad una concessione idrica che verrà concessa una volta ultimato il progetto finale per l’estrazione dell’acqua”76. Questo significa che sarà molto probabile che i piccoli coltivatori che vivono nelle regioni adiacenti di Massingir e Chokwe non saranno in cima alle priorità del governo, malgrado esse si trovino nel cuore della valle Limpopo. Pertanto se questo piano di irrigazione andrà avanti non sarà possibile che questo non abbia delle ripercussioni negative sulle comunità locali dei contadini e le loro attività presenti e future. E’ probabile che una simile distribuzione di risorse idriche , specialmente in regioni aride come il Mozambico minerà l’autonomia e la capacità delle comunità locali di produrre il cibo di cui hanno bisogno. In questo caso, il diritto all’acqua e al cibo di queste comunità verrà messo in pericolo.
4. Il coinvolgimento diretto o indiretto dell’Europa nell’accaparramento della terra
Una serie di fattori diversi hanno aumentato il fabbisogno di terra. Le politiche dell’UE e dei singoli stati membri hanno sia direttamente che indirettamente contribuito ad alimentare l’aumento di questo fabbisogno. Inoltre, in alcuni casi esiste un netto coinvolgimento diretto della stato nei confronti delle multinazionali che acquistano le terre. Lo stato italiano per esempio è proprietario del 30% dell’ENI che secondo alcune fonti sarebbe impegnata in un nuovo progetto di acquisizione di terre nella Repubblica del Congo per produrre palma da olio per il bio-diesel77.
3.1 Bio-combustibili
Le politiche energetiche dell’UE stanno alimentando nei paesi membri dell’UE, ma anche altrove, la domanda di investimenti esteri in bio-combustibili. Come osservato precedentemente, l’IIED segnala che gli obiettivi di consumo previsti dai governi corrispondono con il creare una domanda artificiale senza precedenti di produzioni agricole destinate alla vendita e non al consumo interno che secondo alcuni segnali dovrebbe durare oltre la normale durata del cosiddeto “commodity boom”78. Analogamente, un rapporto dell’IIED, FAO e IFAD osserva che gli obiettivi di consumo dei governi (nell’Unione europea per esempio) e gli incentivi finanziari sono stati un fattore trainante della domanda di investimenti nel settore dei biocombustibili79.
La Direttiva 2009/28EC (Aprile 2009) stabilisce nuovi target obbligatori per gli stati membri: un crescita minima del 10% per ogni stato membro entro il 2020. La stessa Direttiva si sostituisce alla precedente Direttiva 2003/30/EC che stabiliva l’obiettivo del 5,75% di energia rinnovabile nel settore dei trasporti entro il 2010. In base alla Direttiva 2009/28EC, ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare un piano di azione nazionale in materia di rinnovabili nonché quello di stabilire un obiettivo nazionale della quota di energia rinnovabile da raggiungere nel settore dei trasporti, elettricità, riscaldamento e condizionamento. Poiché i prezzi di produzione del rinnovabile non sono ancora in linea con quelli del greggio, il mercato UE dei bio-combustibili dipende principalmente dai programmi e dagli incentivi per il consumo, mentre incentivi diretti alla produzione sono in secondo piano80. Per poter raggiungere gli obiettivi di consumo prefissati, ogni stato membro avrà la facoltà di introdurre tutta una serie di processi di incentivazione per far crescere i consumi (riduzione dell’imposta sul carburante), la produzione (incentivi fiscali, garanzie di credito, pagamento dei contributi diretti) e adottare obblighi di consumo. Tra questi ricordiamo l’imposta ridotta sulle quantità limitate di biodiesel e bio-etanolo (Francia, Germania e UK)81. In Slovenia in accordo con la legge sulle accise, i distributori di combustibile per i veicoli di trasporto sono esenti dal pagare l’imposta sui consumi purché il carburante sia miscelato con bio-combustibili82. Altri incentivi riguardano l’uso come l’obbligo di usare combustibili rinnovabili imposto dal governo britannico nel Regno Unito che impone ai fornitori di combustibile di assicurarsi che una certa percentuale delle loro vendite aggregate siano rappresentata da biocombustibili o altrimenti saranno sottoposti ad una sanzione di 15 penny per ogni litro83.
Nel quadro della loro attività giornalistica sul tema dell’accaparramento della terra, alcuni giornali e ONG hanno evidenziato il legame tra le direttive dell’UE, le politiche nazionali e la crescente acquisizione di terre da parte di aziende europee interessate alla produzione di biocombustibili. Il network African Diversity per esempio ha criticato aspramente il Regno Unito per aver prescritto dei target nella produzione di biocombustibili che finiranno per danneggiare terre, foreste e produzioni alimentari africane per soddisfare il grande fabbisogno energetico del Regno Unito84.
Secondo quanto riportato dalla stampa la Svezia ha stabilito un target del 40% per il 2020 e un nuovo disegno di legge prevede che il settore dei trasporti non dovrà più utilizzare i combustibili fossili a partire dal 203085. La stessa fonte afferma che la Svezia sta investendo significativamente nella ricerca per cercare di influenzare la politica dell’UE che offre incentivi finanziari alle aziende europee che comprano terreni in Africa per coltivare i biocombustibili. Due aziende svedesi che producono bio-combustibili, la SweTree Technologies e la SEKAB secondo la stessa fonte, fanno parte del cda dell’EBTP (European Biofuels Technology Platform), un ente strettamente collegato con gl
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